Sotto le foglie, champignon e vecchi merletti: Ozon e il giallo degli affetti
Champignon e vecchi merletti. È un giallo degli affetti ambiguo eppure salvifico, tollerante a tutto tranne che all'ipocrisia giudicante, il nuovo, «sofisticato» ma per nulla snob, film di François Ozon, che nell'autunno della vita di una Maddalena in cerca di perdono (o almeno di un Cristo capace di comprenderla) ricama un bel copione con l'ago del dubbio e il filo del sospetto, nella certezza ostinata che «tutti hanno diritto a una seconda possibilità». E a qualche sprazzo di luce che si faccia largo tra le ombre, spesse, di ieri. Che poi, magari, offuscano, rendendolo confuso, mai del tutto nitido, anche l'oggi.
Ha il garbo del noir rurale, un certo divertito retrogusto hitchcockiano, ma è un film in realtà velenoso (che sa essere anche tossico come certi funghi che è meglio non mangiare) «Sotto le foglie», gentile ma non per questo più rassicurante: una storia di fantasmi - alcuni senza volto, supposti o solo evocati, altri di «tangibile» e più acuta presenza - che si agitano nelle domande più scomode.
Anche nella placida Borgogna, dove Michelle (una bravissima Hélene Vincent) vive sola in una casa di campagna dove Parigi non manca più di tanto. E in cui, a volte, la vengono a trovare il nipotino che adora e una figlia che «non baciarmi, perché ho il raffreddore». Con lei, che si sta separando dal marito e che ha sempre bisogno do soldi, i rapporti non sono mai stati facili: ma con l'ultima visita riusciranno addirittura a peggiorare...
Sottile, intimo, riconoscente, abitato da un passato persecutorio da cui è difficile liberarsi, tra segreti, bugie e omissioni mai facili da gestire, «Sotto le foglie» ha svolte sorprendenti ma mai grossolanamente marcate dove, nel ricambio delle stagioni, la verità è solo la versione della storia che si accetta di raccontarsi prima di andare a dormire. D'altra parte la bravura - e l'eleganza - di Ozon sta proprio in questo: nel lasciare che sia lo spettatore, se proprio vuole, a provare a fare chiarezza, a riempire il bianco che resta tra le righe, a dare una forma alla reticenze, ad accettare questa o quella suggestione.
Il regista ne sta giustamente alla larga: molto più interessato a indagare le dinamiche (anche morali) e le imprevedibili trasformazioni di famiglie che avvelenato il non detto mutano forma (e formazione) con la determinata volontà di sopravvivere a tutto, anche a se stesse.