Free State of Jones, la contea dell'uguaglianza
C'è come un'aria di rivoluzione, un misto di rivolta e rimpianto, protesta e orgoglio, in certo cinema americano contemporaneo: come una lezione di Storia rimasta fuori dai libri, dove l'individuo si fa massa e spezza le catene, sfida il potere costituito, scrive il suo no col solo inchiostro che gli è rimasto: il sangue. In attesa di <The birth of a nation> (che esce, con poco senso, a sole due settimane di distanza), tocca al Gary Ross (suo il primo <Hunger games>) di <Free State of Jones> sventolare il vessillo della libertà negata e ritrovata con un film epico e secessionista, politico e ferito, antisistemico e arrabbiato, ribelle e interrazziale, dove <i poveri combattono la guerra dei ricchi> e tutto cambia per non cambiare mai.
Storia vera di Newton Knight (un intenso Matthew McConaughey), disilluso soldato sudista che decide di disertare: insieme ad alcuni contadini defraudati e a un gruppo di schiavi neri fuggitivi si opporrà all'esercito confederato fondando un libero Stato basato sull'uguaglianza.
Flop in patria, eppure vigoroso, il film, nonostante alcune banali reminiscenze di <Robin Hood> e di <Braveheart>, si interroga non senza costrutto critico sulla schiavitù sociale (<siamo tutti schiavi di qualcun altro>), malattia endemica di un'America ancora oggi vittima di forti sperequazioni. Appesantito da una patina di cinema iper classico, <Free State of Jones> (che pesca anche qualche sequenza veemente, come la sparatoria al cimitero) ha però un bel guizzo nell'inframezzare la vicenda di Knight con quella, ugualmente emblematica, di un suo pronipote, a processo quasi 90 anni dopo nei sempre razzisti States: prova provata che muore solo quello che non si è seminato.