E' solo la fine del mondo: il rabbioso melò di un moccioso geniale
C'è un momento di questo film in cui vi verrà voglia di saltare in piedi sulla sedia, di ballare, di cantare a squarciagola. E di applaudire. Anche se la canzone è <Dragostea>, cioè mica <Blowin' in the wind>: ma forse proprio per quello. Perché è un istante di gioia infinita, pura e senza remore, in una storia in realtà dolente e drammaticissima: e, più di tutto, è la firma del geniale moccioso di anni 27 e sei film all'attivo che questo melò rabbioso e struggente lo ha girato, mettendoci, come sempre, tutto se stesso.
Tratto dalla piece di Jean-Luc Lagarce, morto a soli 38 anni di Aids, <E' solo la fine del mondo> conferma, dopo il capolavoro <Mommy>, l'inconsueta potenza del cinema di Xavier Dolan: un film dove la sorprendente energia del racconto, l'enorme vitalità del linguaggio, l'aggressività di uno stile che mescola insieme colori decisi, primissimi piani di devastante malinconia, canzoni trash e dialoghi ricolmi di rancore, mettono in secondo piano difetti (un intreccio troppo rigido, una ricerca formale a tratti estetizzante, un brutto finale...) che pure ci sono, ma che non possono fare dimenticare la forza trascinante di una messa in scena che non lascia mai indifferenti.
Elaborazione di un lutto che non è ancora stato dichiarato, <E' solo la fine del mondo>, Grand Prix all'ultimo Festival di Cannes, racconta di un giovane scrittore che torna a casa dopo 12 anni di assenza per dire alla sua famiglia che sta per morire...
Fatto detonare il potere dei ricordi, in un luogo dove anche gli oggetti hanno un'anima, Dolan affronta a nervi tesi alcuni temi simbolo (i legami familiari, il distacco, il <tradimento>) del suo cinema iconoclasta, in una resa dei conti che ha il passo dell'addio dove gli sono complici il meglio degli interpreti di Francia: sguardi e voci di un film non riconciliato. Perché sì, a volte morire è davvero imperdonabile.