2018, Classifiche Filiberto Molossi 2018, Classifiche Filiberto Molossi

I 10 film più belli della stagione 2017-2018

 C'è una tradizione (lanciata dal nostro compianto amico Maurizio Schiaretti)  che tiene banco da oltre 20 anni alla “Gazzetta di Parma”: una cena tra amici in cui vengono votati i migliori film della stagione. Critici, docenti universitari, esercenti e film-maker si ritrovano puntuali per votare un anno di cinema. Ecco come è andata quest’anno: la top ten della Gazzetta.

 

1. TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI  

Bello sin dal titolo e dal trailer, un film scritto benissimo, pieno di rabbia e di umorismo nero. Attori super, personaggi indimenticabili. 

2DUNKIRK

Su quel pontile, stretti e impauriti ad aspettare l’impossibile, ci siamo tutti. Tre movimenti: e Nolan che gioca col tempo.

 2. LA FORMA DELL’ACQUA

Dalla vittoria a Venezia a quella del’Oscar. La favola, colma di cinefilia,  sulla diversità che ha messo d’accordo critica e pubblico.

2. THE SQUARE 

Decisamente, e con vantaggio, il film più originale, spiazzante e meno classificabile dell’anno: chi è differente fa la differenza.

5. DOGMAN 

Il noir, metafisico e straniante, eppure colmo di umana pietas, di un bravissimo Garrone: che mostra i denti del nostro abisso.

 5.  IL FILO NASCOSTO 

Un film cucito su misura con straordinaria classe, la’ dove l’amore, per resistere e sopravvivere, ha bisogno di un ingrediente segreto: il veleno.

5. FOXTROT 

Un film inquieto e senza pace, un apologo dissonante diviso in 3 atti molto diversi, per denunciare l’assurdità della guerra. E lo strazio del senso di colpa.

 5. LOVELESS

Dalla Russia senza amore: la fotografia lucida e spietata di un Paese e di un presente, tra le macerie amarissime della famiglia.

 9. L’ISOLA DEI CANI

Il geniale Wes Anderson affronta la società dell’esclusione, denunciando, in stop motion, la manipolazione della verità. Un film non addomesticato.

9.  THE POST

In un periodo in cui alla stampa vogliono mettere il bavaglio,  Spielberg porta il suo idealismo in redazione: al servizio di chi è governato e non di chi governa.

9.  UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA

 Un film ad altezza di bambino nella Dineyland del degrado: dove trash, miseria e precarietà possono essere anche una grande avventura. 

 

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Filiberto Molossi Filiberto Molossi

La forma dell’acqua: chi è differente fa la differenza

Sta dalla parte di chi si sente (o magari è) fuori dal mondo, dei pesci fuor d'acqua, dei rifiutati  sempre e comunque estranei al protocollo: di chi è differente. Che poi, spesso, è l'unico modo per farla davvero  la differenza. Sta dalla parte giusta, insomma, Guillermo Del Toro, regista messicano visionario che dopo avere vinto il Leone d'oro all'ultima Mostra del cinema di Venezia (dove tornerà l'anno prossimo per presiedere la giuria), punta ora all'Oscar (13 le nomination) con  la favola per adulti <La forma dell'acqua>, immaginifica love story impossibile ma non troppo tra una ragazza muta e un mostro marino umanoide.

Un film dal cuore vintage (ma proteso anche verso l'attualità) sulla forza dell'amore e sul  rispetto dell'altrui identità e natura (in fondo chi può dare una forma all'acqua?), dove l'estetica di Jeunet (e di <Amelie>) incontra lo spirito di <E.T.> e il Tim Burton di <Edward mani di forbice>, sposando un romanticismo che gronda cinefilia  (oltremodo chiaro l'omaggio a <Il mostro della laguna nera> e alla gloriosa epoca dei b-movies: bellissima in questo senso la sequenza ambientata in una sala cinematografica) senza rinunciare a un sottotesto (che segnava già in maniera potente <Il labirinto del fauno>) politico.

Nei primi anni '60, quelli di Kennedy e della guerra fredda, della tv in bianco e nero, dei filmoni biblici e dei musical, Elisa lavora come addetta alle pulizie in una base militare  americana dove è prigioniera un'impressionante creatura anfibia. Per alcune tribù del Sudamerica è un dio  dotato di poteri sovrannaturali: ma americani e spie russe vogliono solo capire come e se gli può essere utile. L'unica che sembra comprenderne e condividerne l'angoscia è proprio Elisa: che, segretamente, stabilisce con l'uomo-pesce un contatto.

Stilisticamente suggestivo (ricchissimo e molto ispirato il lavoro della scenografia su ambienti e arredi che danno al film non solo un abito ma un tono), raffinato nelle non scontate scelte musicali, <La forma dell'acqua>, già vincitore di due Golden Globes (per Del Toro, miglior regista, e per la colonna sonora dello specialista Desplat) propone in maniera non del tutto inedita l'incontro col mostro (che siamo noi...), ma va oltre l'amore interrazziale (che sarebbe stata la metafora giusta per gli spettatori dell'epoca in cui è ambientato il film) per toccare altri nervi scoperti (la politica americana contro gli immigrati, ad esempio) e richiamare a un maggiore impegno (<se noi non facciamo niente, non siamo niente>) chi sta seduto a guardare. Peccato solo che la trama tenda al prevedibile e il cattivo sfoci nel fanatismo: ma il volto irregolare e senza voce di una strepitosa Sally Hawkins rende tutto meno scontato. E, soprattutto, possibile.

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