Io, Daniel Blake: Il picchetto morale di Ken il rosso
Ha ancora fiducia nell'uomo, ma sempre meno nell'umanità e per niente nelle istituzioni, Ken Loach, meraviglioso ideologo 80enne di un cinema per sempre militante che ora soffia forte sul vento dell'amarezza, portando il suo realismo civile, il suo picchetto morale, a confrontarsi con le assurdità kafkiane di una burocrazia <assassina>, nello scollamento sempre più drammatico tra gente comune e cosa pubblica, anonimi (anti) eroi del quotidiano e rappresentanti inflessibili e lobotomizzati del potere.
E' la fotografia di una società (è l'Inghilterra che non porta rispetto a poveri, malati, analfabeti informatici e madri sole con figli a carico, ma potrebbe essere anche molti altri posti d'Europa e del mondo) profondamente ingiusta quella che scatta <Io, Daniel Blake>, il migliore degli ultimi film di Ken il rosso: che, con il solito stile secco, sostiene nella sua lotta impari contro il leviatano un falegname 59enne costretto dopo un infarto a chiedere il sussidio. Il suo medico gli ha proibito di lavorare, ma lo Stato non è d'accordo: così, in attesa che Daniel faccia appello per ottenere l'indennità negata, è costretto, pena una severa sanzione, a cercare comunque un altro lavoro... Nel frattempo, bloccato nella speranza di una risposta dall'alto, conosce Kate, madre single di due figli costretta a spostarsi di 450 chilometri per avere un alloggio popolare: si aiuteranno a vicenda.
Formulari da scaricare esclusivamente sul Web, assistenti sanitari che ti lasciano in attesa al telefono quasi due ore, lezioni per imparare (a pochi anni dalla pensione...) a rendere accattivante un curriculum: sotto un cielo perennemente grigio, in un labirinto cieco di paradossi amministrativi, Loach racconta l'odissea della vittima di una burocrazia illogica e arrogante, l'utopia di un uomo che vorrebbe essere considerato semplicemente un cittadino, <niente di più e niente di meno>.
Deluso dai tempi moderni, da un'era digitale che ha aumentato le differenze e le sperequazioni invece di limarle - e a cui il regista inglese oppone l'estro poetico della manualità, di un artigianato che ormai va scomparendo - Loach celebra la solidarietà tra gli ultimi, ma non si fa più illusioni: non siamo ai livelli di <Piovono pietre> e forse neanche di <My name is Joe>, ma la denuncia sociale arriva nitida, chiara, puntuale. Per quanto a tratti prevedibile, <Io, Daniel Blake> - Palma d'oro a Cannes (la seconda per Loach,il più anziano a vincerla) - sa colpire duro senza mai alzare la voce e regala sequenze che da sole valgono il prezzo del biglietto: come quando Kate, affamata, apre e mangia, per poi sprofondare nella vergogna, una scatola di pelati.