Julieta, tutto su una madre
Tutto su una madre. E' una Penelope che attende invano, ma anche una Calypso abbandonata, l'ultima donna - tra le mille che ha raccontato, con estro e sentimento, nei suoi venti film, amandole tutte - di Pedro Almodovar: una madre che scrive una lettera alla figlia mai dimenticata e nel bianco che scorre tra le righe rovescia rimorsi e sentimenti, domande e sensi di colpa. I pezzi mancanti di un puzzle emotivo che prima o poi dovrà ricomporre.
Odissea esistenziale, tra amore e perdita, di una donna smarrita nella tempesta della separazione e del rimpianto, <Julieta> è uno dei film più sinceramente dolorosi del regista spagnolo, che per girarlo si è ispirato a tre racconti di Alice Munro (<una casalinga che scrive, un po' come me...>, ha detto Pedro), premio Nobel per la letteratura nel 2013.
Nella storia di Julieta (interpretata, per dare il senso del trascorrere del tempo, da due attrici differenti, le entrambe intense Emma Suarez e Adriana Ugarte, che si sostituiscono l'una all'altra in una transizione splendida, risolta con un colpo di asciugamano), Almodovar, abbandonato ormai completamente il gusto per la provocazione che aveva fatto la fortuna dei suoi primi film, accetta la crudeltà della nostalgia. Così come il prezzo della tristezza, della malinconia. Che invade a più riprese - e senza alcun preavviso - la vita della sua protagonista (<tra le tante madri che ho raccontato, certamente la più vulnerabile>), prima costretta a fare i conti con la morte in mare del marito e poi con la partenza di una figlia che, una volta diciottenne, decide di sparire senza darle più notizie. Colori pop (<il nero è una maledizione>), sentimento, trauma, espiazione, mistero (della vita e dell'adolescenza): Pedro è sempre lui, anche se <Julieta>, melò toccante ma volutamente sobrio, manca a tratti di tensione emotiva, di quella fitta che può fare la differenza. In effetti, il cinema del regista di <Parla con lei> e <Tacchi a spillo> si è fatto più senile e – forse - anche più prudente: ma, nel mondo (ideale) in cui le lettere si scrivono ancora a mano, Almodovar conosce (e ci ricorda) l'esatto peso dell'assenza e la misura incalcolabile di affetti e di legami che si possono solo fingere di dimenticare.