The accountant, se Rainman si traveste da Superman
Rainman? Ora si traveste da Clark Kent: un genio matematico come quello di <Beautiful mind>, ma con muscoli e determinazione che nemmeno Terminator. E' un puzzle al contrario a cui manca solo l'ultimo pezzo, una filastrocca per bambini ripetuta all'infinito, un quadro di Pollock in cui riconoscere anche il proprio groviglio, <The accountant>, thriller ad alto tasso di improbabilità diretto dal newyorchese Gavin O'Connor (quello di <Miracle> e <Warrior>): cinema di genere, ma con un protagonista per lo meno singolare. Uno come Christian, insomma, che della diversità fa la sua forza: contabile autistico e formidabile che tiene un Renoir nella roulotte, può annientare a mani nude anche sette persone alla volta e sa colpire un bersaglio da un chilometro e mezzo di distanza. Privo di una vera identità e senza fissa dimora, è al soldo della malavita organizzata per cui ripulisce denaro sporco e scova ammanchi invisibili: i federali gli danno la caccia, ma forse non tutto è come sembra... Deciso e intrigante, non privo di sarcasmo a volte spiazzante, il film ha dei numeri (in tutti i sensi...) ma, partito bene (l'inizio teso con la macchina da presa a livello terra, i flashback cattivi...), si perde in trovate di sceneggiature poco plausibili che deflagrano in un brutto finale familista. O'Connor ci sa fare, è efficace nelle sequenze d'azione e tiene alta la guardia anche in quelle para sentimentali, ma sparge troppi personaggi in giro, alcuni dei quali poi vengono smarriti per strada o ritrovati troppo tardi. E un Ben Affleck in formato bietolone non è particolarmente utile all'impresa.