The accountant, se Rainman si traveste da Superman
Rainman? Ora si traveste da Clark Kent: un genio matematico come quello di <Beautiful mind>, ma con muscoli e determinazione che nemmeno Terminator. E' un puzzle al contrario a cui manca solo l'ultimo pezzo, una filastrocca per bambini ripetuta all'infinito, un quadro di Pollock in cui riconoscere anche il proprio groviglio, <The accountant>, thriller ad alto tasso di improbabilità diretto dal newyorchese Gavin O'Connor (quello di <Miracle> e <Warrior>): cinema di genere, ma con un protagonista per lo meno singolare. Uno come Christian, insomma, che della diversità fa la sua forza: contabile autistico e formidabile che tiene un Renoir nella roulotte, può annientare a mani nude anche sette persone alla volta e sa colpire un bersaglio da un chilometro e mezzo di distanza. Privo di una vera identità e senza fissa dimora, è al soldo della malavita organizzata per cui ripulisce denaro sporco e scova ammanchi invisibili: i federali gli danno la caccia, ma forse non tutto è come sembra... Deciso e intrigante, non privo di sarcasmo a volte spiazzante, il film ha dei numeri (in tutti i sensi...) ma, partito bene (l'inizio teso con la macchina da presa a livello terra, i flashback cattivi...), si perde in trovate di sceneggiature poco plausibili che deflagrano in un brutto finale familista. O'Connor ci sa fare, è efficace nelle sequenze d'azione e tiene alta la guardia anche in quelle para sentimentali, ma sparge troppi personaggi in giro, alcuni dei quali poi vengono smarriti per strada o ritrovati troppo tardi. E un Ben Affleck in formato bietolone non è particolarmente utile all'impresa.
Ex machina: e dio creò l'automa
E’un po’ come se Freud e Asimov uscissero a prendere l’aperitivo insieme. E poi decidessero di andare al cinema. E il film non potrebbe che essere uno solo, quello: «Metropolis». Il capolavoro espressionista di Fritz Lang, tra art déco e mito dell’automa. Ecco sì: la definirei una serata interessante. Come interessante, alla prova dei fatti, è l’ambizioso esordio nella regia dell’inglese Alex Garland (è suo il libro da cui è stato tratto «The beach», ma non gliene farei una colpa: piuttosto è bene ricordarlo come sceneggiatore di «28 giorni dopo» e del bellissimo «Non lasciarmi») che in «Ex machina» mescola insieme robotica e psicanalisi, riferimenti pop anni ‘80 (l’hit «Enola Gay» ma anche «Ghostbusters» e «Star Trek») e la pittura automatica di Pollock, videoarte e test di Turing, Wittgenstein e la Bibbia. Finendo col girare, in un’escalation di simulazioni non solo sintetiche, un film «chiuso», claustrofobico, acrobatico nel ragionamento e imprevisto nell’emozione.
Caleb, un giovane programmatore, viene scelto dal capo della società per cui lavora, una sorta di solitario e inquietante guru dell’informatica, per mettere alla prova Ava, cyborg dotata di intelligenza artificiale che pare addirittura capace di provare emozioni... Tre personaggi, una casa bunker di tecnologica solitudine che sembra l’antro di un dio ebbro e stanco, sei sessioni: ma chi studia chi? Chi testa davvero chi?
Nel costante dubitare degli altri e di sé, dove l’indecifrabile imbarazzo dell’anima è forse solo lo specchio magico di un’ennesima recita, Garland costruisce un teso fanta-thriller arricchendolo di riferimenti filosofici e suggestioni kubrickiane, continuando a stravolgere i ruoli (il robot, dalla sua trasparente gabbia di vetro, dà lezioni di umanità ai suoi «inquisitori» in carne e ossa) per avventurarsi, sino al bel finale a sorpresa, alla ricerca dei più intimi segreti della (in)coscienza. L’atmosfera è pesante, l’aria sottile: gestita con successo l’interazione degli interpreti (il lanciatissimo Domhnall Gleeson, figlio dell’attore Brendan, Oscar Isaac, con cui si rivedranno in «Star Wars», e la scoperta Alicia Vikander, volto di Louis Vuitton), «Ex machina», nella malinconica vanità del robot che voleva sentirsi donna legge soprattutto l’incapacità dell’uomo di relazionarsi con l’altro sesso. Un sottotesto che alza l’asticella del film: siamo davvero sicuri che sia «solo» fantascienza?