Recensione, 2019 Filiberto Molossi Recensione, 2019 Filiberto Molossi

Maria, regina di Scozia: un trono per due

Due donne: abbandonate al proprio destino, usurpate dei loro sentimenti, ribelli al cielo nella terra degli uomini. Eppure forti, fiere, orgogliose. Eterne. Come solo le regine sanno essere. Una sola protagonista – così come suggerisce il titolo – ma pur sempre due, due donne. Vicine eppure distanti, indissolubilmente legate ma estranee: e proprio lì, nel confronto a distanza tra Maria Stuarda ed Elisabetta I (con Saoirse Ronan che per intensità supera la quasi irriconoscibile Margot Robbie, che sarà Sharon Tate nel prossimo Tarantino), nel seguire alternativamente la furia e i tormenti dell'una e dell'altra, c'è la ragione d'essere di questo melodramma storico (e protofemminista) con toni da tragedia shakespeariana, in quella sorellanza mancata, in quel cercarsi invano, in quel caricare di attesa un incontro che avviene solo nel sottofinale, dove tra veli in cui smarrirsi insieme alle proprie speranze le persone diventano ombre e le parole sussurri. Molto classico, magari anche prevedibile nei suoi grandi totali maestosi, ma ricco nell'ambientazione, nella potenza dei gesti, nel protocollo degli sguardi di chi ordina e di chi serve, l'opera prima della regista teatrale Josie Rourke rilegge la (anche cinematograficamente) famosa rivalità tra la regina di Scozia e quella d'Inghilterra (di cui la prima, nel sedicesimo secolo, reclamò il trono) non tanto come un'<Eva contro Eva> ante litteram, ma anzi accentuando le assonanze piuttosto che evidenziando le differenze: donne che si specchiano l'una nell'altra, investite dal peso insopportabile di un potere che sono costrette a difendere dai complotti, dalle manipolazioni e dagli intrighi di una società esclusivamente maschilista. Perché da qualunque orizzonte la si guardi, su Londra e su Edimburgo regna solo una sovrana: la solitudine.

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Filiberto Molossi Filiberto Molossi

Lady Bird, la vita dalla parte sbagliata dei binari

E' un film sull'età di passaggio, sull'approdo alla maturità, sull'avventura (e la difficoltà) di crescere,  tra molte prime volte (che sono sempre un casino), amiche del cuore, la patente da prendere, ma anche quelle domeniche pomeriggio passate a visitare case che non potrai mai permetterti. Sta lì, <Lady Bird>: in quel sentirsi sempre inadeguate, fuori posto, intrappolate in un destino scritto da qualcun altro. In quell'essere differenti e scoprirsi deluse, che passi una vita a  scappare forse solo per avere un giorno nostalgia di quello che hai lasciato.

Tra le voci più autorevoli del cinema indipendente (prima solo come attrice e sceneggiatrice, adesso anche in qualità di acclamata autrice), Greta Gerwig mette molto di se stessa nella sua opera seconda, ambientata a Sacramento - <il Midwest della California> - negli anni in cui anche lei, oggi 35enne, era una ragazzina.

Christine (una bravissima Saoirse Ronan) si fa chiamare Lady Bird, dà la mano quando si presenta, sogna un futuro nella East Coast: ma il padre ha appena perso il lavoro e farsi capire da sua madre non è certo una passeggiata... 

La scuola cattolica, il teatro, i primi ragazzi, il ballo di fine anno, le canzoni di Alanis Morissette e <Jim Morrison chi?>: quinta donna nella storia a essere candidata come miglior regista agli Oscar (il film, che ha già vinto due Golden Globes, tra cui quello per la migliore commedia dell'anno, conta 5 nomination pesanti), la Gerwig racconta com'è la vita e come ci si sente <dalla parte sbagliata dei binari>, dimostrando un empatico talento nel raccontare gli sgambetti e i crocevia della normalità, nell'età inquieta in cui è più difficile accettare le proprie e le altrui imperfezioni. Ma si è ancora giusto in tempo per comprendere chi si è veramente.

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