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Sorry we missed you, il cinema necessario di Ken Loach

E’ uno spaccato senza sconti sull’oggi in crisi, dove si corre senza arrivare da nessuna parte, come criceti sulla ruota, perennemente in gabbia, “Sorry we missed you”, un film di schiacciante verità con cui Ken Loach denuncia il precariato fai da te di un’umanità costretta a mettersi in proprio per lavorare senza garanzie, né straordinari, né assicurazioni. Né tantomeno riposo: che, se proprio serve, c’è sempre quello eterno. Cosa è successo alle 8 lavorative? Bisognerebbe chiederlo a Ricky, working class hero con moglie e due figli, che di ore sul suo furgone ne fa 14: consegna pacchi a tutta la città tra molti oneri e pochi diritti. Da una parte la fatica degli adulti, che arrivano a sera troppo stanchi anche per fare l’amore, dall’altra la mancanza di futuro (e di fiducia) dei ragazzi, che non vogliono finire come i primi: schiavi di debiti a cui non fanno che aggiungerne altri per pagare i precedenti, mentre la vita privata, fatalmente, va in pezzi. C’è la lotta, ma non ci può essere vittoria, nel cinema di Ken il rosso che sa come l’indifferenza del mondo e le condizioni di lavoro inique annientino i legami dell’individuo e abbiano effetti devastanti anche per la famiglia. E allora il titolo, che si riferisce al messaggio che i corrieri lasciano al destinatario che non era in casa, suona ancora più beffardo: “Ci dispiace non averti trovato” è quello che la moglie e i figli di Ricky potrebbero dire ogni giorno a lui: prigioniero di un meccanismo che invece di sostenerlo lo divora.

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Pinocchio, Garrone nel paese delle meraviglie

C'è un senso del meraviglioso, un incanto palese eppure segreto, in quella picaresca e tenera concezione del fantastico, nella trasfigurazione del reale, di qualcosa di antico e materico, che non ha che fare tanto con la tecnologia (e gli effetti speciali), ma ci appartiene, anche figurativamente. E sì, c'è qualcosa di profondamente umano anche laddove si pensa di non potere provare dolore in questa favola cigolante che Matteo Garrone rilegge con riconoscente fedeltà accarezzando la fisicità dell'immaginifico, regista artigiano che lavora il cinema come fosse legno e lo modella, lo piega, lo intarsia. Facendone un pezzo unico, poi per sempre riconoscibile, personale, proprio (e appropriato).

Ne poteva rimanere prigioniero, anche lui nel ventre della balena (pardon, pescecane), perduto per sempre in quell'oceano di pagine difficilmente navigabili: e invece l'autore di <Dogman> sfida la maledizione di <Pinocchio> (che travolse anche Benigni, qui ora magnifico Geppetto per il quale la vita è di nuovo bella) girando un film visivamente splendido (e produttivamente <estremo> nel panorama italiano)celebrando con forza estetica il capolavoro di Collodi di cui Garrone coglie e leviga l'aspetto adulto senza per questo sacrificarne lo stupore, la magia, il comune senso del rocambolesco. In un Paese (questo) dove <gli innocenti vanno in prigione> e si fa la fame sperando prima o poi di mettere giudizio, l'avventura di diventare grandi va di pari passo alla scoperta della crudeltà della vita: tocca tornare bambini (o diventarlo, finalmente) per giudicare con la dovuta serenità un'umanità affollata di burattini di cui qualcun altro tira i fili, di teste di legno, di marionette costrette sulla scena, vittime dell'ennesima recita.

Il commovente (e smisurato) affetto paterno, il romanzo (etico) di formazione, l'immaginazione come antidoto alla miseria: le chiavi ci sono tutte, più che altro occorre capire (ma già gli incassi di questo weekend dovrebbero chiarire le idee) quale sia (e da chi sia composto) il pubblico del <Pinocchio> di Garrone, un film che può piacere a tutti (grandi e piccoli) e per le stesse ragioni a pochi. Una fiaba d'autore che nell'affrontare con puntualità filologica il testo rispolvera passaggi ignorati dalle precedenti versioni, facendosi forte (nonostante nella seconda parte il film fatichi di più) di una realizzazione di grande riuscita, di grande spessore, a cui porta un serio contributo un cast molto variegato (oltre a Benigni, tra gli altri, anche un Proietti-Mangiafuoco, cattivo solo in apparenza ma assai facile alla commozione, la francese Marine Vacht – già giovane musa di Ozon -, un ottimo Massimo Ceccherini, Volpe in cerca di qualcosa <da spizzicare> insieme al Gatto Papaleo) che gira intorno al giovanissimo Federico Ielapi, il burattino dagli occhi da bambino che per tre mesi si è sottoposto a quattro ore di trucco (più una per struccarsi) tutti i giorni. E se Garrone non sbaglia una faccia, fantastico davvero è il lavoro di make up dell'inglese Mark Coulier, due Oscar in bacheca (per <Grand Budapest Hotel> e <The Iron Lady>) e parecchio da fare anche sui set di <Harry Potter> e del <Suspiria> di Guadagnino: tecnico di fama mondiale che, unitamente al costumista Massimo Cantini Parrini (ospite lo scorso mese del Parma Film Festival), ricrea un mondo dove potere entrare è un privilegio.

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I film più belli del decennio: ecco la top ten!

Continua la nostra classifica dei migliori film del decennio: ecco la top ten. Dal decimo al primo

10. IL FIGLIO DI SAUL (2015)

Se non il film definitivo sull’Olocausto, quello più originale da molti anni a questa parte: l’orrore resta per lo più fuori campo. Un film atroce e indelebile che ti resta addosso, anche dopo giorni (o anni) che l'hai visto.

9. PARASITE (2019)

Forse è troppo recente, forse c’è troppo poco stacco: ma la Palma d’oro di quest’anno - che cambia tono e genere con la facilità dei fuoriclasse - è veramente uno dei film più folgoranti di sempre sulla lotta di classe.

8. THE WOLF OF WALL STREET (2013)

“Vendimi una penna”. Un altro strepitoso film di martin Scorsese: che rilegge una storia vera per raccontare l’avidità selvaggia dei tempi. Molte scene cult: Margot Robbie ne sa qualcosa.

7. LEI (2013)

L’amore al tempo di Siri. E di intelligenze artificiali che rispondono al posto delle persone. Una profonda, originalissima, riflessione sulla solitudine contemporanea. Da vedere rigorosamente in originale per ascoltare la voce di Scarlett Johansson.

6 . THE SOCIAL NETWORK (2010)

Ha inventato un metodo per avere migliaia di amici, ma non trovava nemmeno un cane per andare a bere una birra con lui. Un ritratto spietato e molto intelligente dell’inventore di facebook. Strepitosi i dialoghi di Sorkin.

5. LA LA LAND (2016)

Una straordinaria storia d’amore, festa per gli occhi e per le orecchie: grandi soluzioni visive nel segno di genere che sembrava morto ma era solo svenuto.

4. MOMMY (2014)

Il genio ribelle di Dolan soffoca l’immagine riducendola a una porzione minima dello schermo, poi la riallarga (con una sequenza culto in bicicletta) e le dà respiro. Una passione e un’energia viste raramente in questi 10 anni.

3. LA VITA DI ADELE (2013)

Altra bellissima love story, stavolta tutta al femminile: il cinema empatico di Kechiche ti fa entrare dentro lo schermo, avvicina lo spettatore a quello che guarda. Interpreti magistrali.

2. LA GRANDE BELLEZZA (2013)

Jep, Roma, la Carrà: un affresco esistenziale visionario e clamoroso, con molte splendide trovate. Tutto il talento di un regista che dà del tu al cinema e pensa, a costo di bruciarsi, solo in grande: e coglie un senso nel chiacchiericcio imperante. Perché prima, c’è stata la vita.

1 . THE TREE OF LIFE (2011)

All’anteprima di Cannes divise subito: applausi scroscianti e fischi. Io ci trovo una regia superiore, una capacità di raccontare attraverso la macchina da presa che ha pochi uguali. Perché mi piace così tanto? Forse perché è il film più vicino a Dio che ho visto in questi anni.


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Giuseppe e Sanna: i giovani e il lavoro

Non è vero che in Italia i laureati non trovano lavoro: anzi, di solito, accade il contrario. Prendi Giuseppe: certo, ci ha messo il suo tempo, ma a 35 anni, a sette dalla laurea in Ingegneria ottenuta con il massimo dei voti, può cantare vittoria. E' stato finalmente assunto a tempo indeterminato: come operatore ecologico. Sognava probabilmente di costruire strade, si accontenterà di pulirle. A milleduecento euro al mese. Un lavoro rispettabilissimo, ma non proprio quello per cui ha, a lungo, studiato. Come lui altri 8 laureati a Barletta faranno del loro meglio con la ramazza: stanchi di tirocini non retribuiti, stage gratuiti, lavori precari o sottopagati. <Tutta esperienza>, gli dicevano: poi arrivi a 35 anni e scopri che con quella non ci mangi.
Sanna è praticamente coetanea di Giuseppe: anche lei, recentemente, ha trovato lavoro. Finlandese, cresciuta da due mamme (quella naturale e la sua compagna) è definita pragmatica ed empatica: e dall'altro giorno è il primo ministro più giovane del mondo. Alla guida di una coalizione di cinque partiti tutti guidati da donne per lo più della sua età. Non servono commenti: bastano i fatti. Ma andrà comunque pur detto che un Paese che (come il nostro) non investe sui giovani e non si fida di loro alleva una generazione frustrata e rancorosa. Che alla prima occasione si vendicherà di chi non gli ha mai voluto concedere una chance, una possibilità, un oggi o un domani.

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I dieci film più belli di Martin Scorsese

L’ultimo film di Martin Scorsese, “The Irishman”, dopo avere fatto il tutto esaurito al Parma Film Festival, spopola ora su Netflix. Se mi è abbastanza chiaro - e non da oggi - che l’ex prete mancato che ha fatto la Storia del cinema è il più grande regista vivente, quali sono i suoi film che mi (e vi) piacciono di più? E’ un gioco impossibile, ma può essere divertente provarci: ha fatto talmente tanti capolavori che sono certo che la mia classifica potrebbe cambiare ogni giorno a seconda di come mi sveglio. Intanto prendetevi quella di oggi: questa.

  1. TAXI DRIVER

    You talkin’ to me? De Niro alla specchio, Jodie bambina, New York: difficile trovare a oltre 40 anni di distanza un film più politico (e profetico) di questo. Potentissimo e geniale nel raccontare lo spaccato disturbante di un’epoca.

  2. TORO SCATENATO

    Basterebbe la prima sequenza, quel ralenti, la musica, i flash dei fotografi: e poi De Niro/La Motta, rovinato di botte, che si aggrappa alle corde: “Non mi hai buttato giù, non mi hai buttato giù”. Modernissimo, anche visto adesso.

  3. L’ETA’ DELL’INNOCENZA

    Se volete fare incazzare Scorsese chiedetegli come mai nei suoi film non ci sono mai donne. E’ una roba che lo manda in bestia. E non a torto: anche perché in questo film viscontiano c’è uno dei più bei ritratti femminili mai visti. Pura classe.

  4. QUEI BRAVI RAGAZZI

    Il mafia movie, istruzioni per l’uso: una lezione di regia e di montaggio dalla prima sequenza all’ultima. Quando non contare più nulla significa che ti lanciano il giornale come a tutti gli altri. Parabola violenta di un’America a mano armata.

  5. THE WOLF OF WALL STREET

    “Vendimi questa penna”. Della follia dei tempi, quella dove contano solo i soldi, è l’epopea più spiazzante ma anche più fedele. Un film eccitante e sovraeccitato, dionisiaco, cinetico, divertente, bastardo, instancabile, aggressivo. Con scena stracult tra DiCaprio e la Robbie.

  6. CASINO’

    Una messa cantata: l’energia di Scorsese, il suo cinema-cinema ancora ai massimi livelli. Ancora i soldi: tanti. E la malavita. E di nuovo il tempo che, inseerobile, passa: e tutto cambia, tutto (come nell’epico finale) trasforma.

  7. THE DEPARTED

    Da alcuni malamente sottovalutato: molto e molto ingiustamente. Magari con la scusa che “l’originale (Infernal Affairs) era meglio”. Io ricordo la prima alla Festa del cinema di Roma: folgorante. Una meraviglia. Su sette nominiation alla regia, l’unico Oscar vinto da Scorsese.

  8. FUORI ORARIO

    Inimitabile e bizzarro: una delle prove più originali e inclassificabili del maestro del Queens. Che racconta il contemporaneo in un film “tutto in una notte”, regalandoci un personaggio il cui smarrimento finisce per appartenerci.

  9. MEAN STREETS

    In un certo senso è cominciato tutto da qui: i primi vagiti della Scorsese connection, la capacità di imporre un cinema nuovo, personale, proprio. Consiglio di rivederlo: ogni volta riserva sorprese. E scoperte.

  10. THE IRISHMAN

    Un film definitivo e inevitabile: Scorsese si fa carico del corso di un tempo che sta per finire in un film fluviale, epico e ricco di suggestioni. Già bellissimo dal primo piano sequenza, poi inesorabile e sinfonico. Col retrogusto amaro di un addio, del senso, solitario, di un commiato.

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