Loro 2, meno male che Paolo c'è
E’ un film su un bambino che ha paura di morire, il piazzista <che ha svenduto le speranze degli italiani>, un uomo che può comprare tutto tranne il tempo: costretto a conoscere la solitudine dei numeri uno. E l'odore dell'alito dei vecchi. Che non è buono né cattivo: ma è quella cosa lì e c'è poco da fare. Mentre il conto alla rovescia è già iniziato: e quella giostra, ormai ferma, nessuno sembra potere farla ripartire. Nemmeno l'estenuante, vuoto, mestiere del compiacere di un Paese che rassoda i glutei perché <meno male che Silvio c'è>.
E' bello davvero e pure parecchio, <Loro 2> e non fa che aumentare il rimpianto per un film malamente sdoppiato che poteva benissimo essere unico e solo: ma quanto la prima parte appariva ripetitiva e talvolta carente di ispirazione, qui Sorrentino alza il livello dell'asticella, abbandona la corte e mira dritto al trono, dimostra di conoscere, come il personaggio che racconta, <il copione della vita>.
Ritratto necrofilo, tra disprezzo e <pietas>, di un Berlusconi cadente, messo da parte, prima che da Di Maio e da Salvini, dai suoi stessi eccessi (<avevi molto di meglio da fare che le donne: e non l'hai fatto>), vecchio caimano patetico e triste che non si diverte più nemmeno al suo gioco, <Loro 2> regala momenti perfetti (come quando Silvio si finge un agente immobiliare e vende al telefono a un'ignara signora una casa che non esiste e di cui lei non ha alcun bisogno...), brillanti pezzi di scrittura (il dialogo tra Berlusconi e Ennio Doris entrambi, come in un effetto specchio, interpretati da un grande Servillo: <siamo venditori: noi convinciamo le persone>), indovinati sprazzi surreali (le olgettine piazzate nelle fiction più improbabili: da <Congo Diana> a una Giovanna D'Arco che va sul rogo col decolletè in bella vista) di divertita cattiveria.
E poi, chiaro sin dal titolo, più di tutti ci sono <Loro 2>: Silvio e Veronica (una bravissima Elena Sofia Ricci), con quel matrimonio che naufraga. Il confronto è implacabile, ma qui il tono si fa sin troppo didascalico, anche se il regista sembra quasi voglia affidare alla Lario la sua stessa coscienza critica. Sorrentino spoglia, pesa, sottolinea: gestisce benissimo gli spazi, i vuoti e i pieni, vola alto senza nascondere la mediocrità (quella del Berlusconi privato, ma anche la nostra di spettatori inerti), trova, rispetto al primo atto, una profondità e un genio lasciati in stand by. Come nel potente finale felliniano ne L'Aquila del terremoto, dove il divino si fa umano. Ma intorno restano solo macerie.