Smetto quando voglio: laurea ad honorem alla banda dei cervelloni
Di smettere, in realtà, non sembrano averne una gran voglia: lo vedi subito che si divertono troppo per prendere e mollare. Ma pare andrà così: che questo, il terzo atto, sarà anche l'ultimo. Perché lo sanno pure loro: che è un attimo ripetersi e diventare maniera, imitazione di se stessi, formula stanca (per quanto esatta) di un medesimo risultato. Ma di certo va detto che il dream team targato Sibilia di meriti non ne ha pochi: ad esempio, quello di avere creato un brand, un marchio riconoscibile, riportando linfa e vitalità a un cinema medio altrimenti esangue. Sono l'Ocean's de noantri, la banda del buco dei cervelloni: ma se alla fine il bottino della trilogia supererà tranquillamente i 10 milioni di euro, non si può dire che abbiano derubato o truffato nessuno.
Simpatico ma non troppo zuccherato, <Smetto quando voglio-Ad honorem>, riunita la banda per una mission impossible (salvare la Sapienza da un attentato terroristico...), si esalta nella felice commistione di generi (commedia, prison movie, film d'<evasione>) che in un modo o nell'altro aveva già contraddistinto anche gli altri due capitoli della saga: Sibilia conosce la materia, dimostra una non banale professionalità (come nelle scene spettacolari, sempre ben risolte: vedi quell'inizio niente male, subito nel vivo) e supera l'esame anche stavolta. Non c'è lode, anche perché nel tempo un po' di originalità e freschezza (e qualche risata) è stata lasciata per strada: ma il cast ha sempre una gran bella chimica, lo spirito è goliardico ma (tra rimpasti di governo e fondi per la ricerca che non arrivano mai) non consolatorio, l'entusiasmo sincero. Ma Sibilia ha ragione: la sua università è finita. Se vuole fare il salto deve <smettere> adesso.