Un padre, una figlia: il sasso di Mungiu contro una società malata
E' un sasso tirato contro una finestra, un cane che attraversa la strada all'improvviso, un pianto a dirotto nella notte: e un telefono, che non smette di squillare quando tutto sembra precipitare. E' disseminato di segnali, di avvisaglie, <Un padre, una figlia> di Cristian Mungiu: un potente dramma morale che si fa largo in una società malata di compromessi, là dove ogni comportamento ha una conseguenza, ogni scelta, ogni decisione (che prendiamo per noi o ci illudiamo di prendere per gli altri) un prezzo da pagare.
Premio per il miglior regista all'ultimo Festival di Cannes, Mungiu, la voce più forte del nuovo cinema romeno, sceglie la strada del dilemma etico per riflettere non solo sull'attualità del suo Paese, ma sulla complessità della natura umana. Lo fa con una pellicola densa, logica, puntuale, importante: un film sociale che il regista trasforma quasi in un beffardo thriller della responsabilità dove il fine giustifica i mezzi, mentre guardando la pagliuzza negli occhi degli altri ci dimentichiamo della trave che abbiamo nei nostri.
Eliza sta per diplomarsi: punta a essere accettata da un'università inglese. Ma una mattina viene aggredita da uno sconosciuto: sotto choc, ingessata a una mano, deve comunque affrontare l'ultimo esame. Un giudizio basso potrebbe costarle la borsa di studio: così, a sua insaputa, suo padre decide di darsi da fare per aiutarla...
Nel Paese dove tutto si aggiusta, dove un favore tira l'altro - fino a precipitare in un vortice di menzogne, piaceri, debiti -, <Un padre, una figlia> coglie lo spirito opaco di un'epoca sempre più incerta tra ciò che è giusto e ciò che conviene, dove anche l'incondizionato amore filiale è messo a dura prova dall'<ostacolo> dei principi. Poste al centro del film le dinamiche familiari del protagonista, Mungiu, nel chiedersi quale educazione e quale esempio (e quale eredità, quindi) vogliamo dare ai nostri figli (meglio prepararli a una giungla dove conta solo sopravvivere oppure insegnarli a non rinunciare mai all'onestà?), trasforma il suo quesito morale, infine, in un vibrante scontro generazionale: tra chi, adulto, dopo la caduta di Ceausescu, pensava di potere cambiare tutto (e ora rimpiange di non avere lasciato la Romania) e chi, ragazzo, ha ancora (se sceglierà di non partire) la possibilità di farlo.