La grande illusione: fuggire sì ma dove?
E' un po' bizzarro parlarne adesso: o, forse, è semplicemente la cosa giusta fare. Leggere, in un momento in cui siamo tutti (giustamente) costretti a stare chiusi in casa, un libro sulle evasioni. E solidarizzare coi protagonisti, anzi di più: immedesimarsi in loro. In quel desiderio proibito di libertà perduta, in quella voglia matta di fuga, in quella, spesso lenta, sempre logorante, attesa del momento giusto per abbattere una parete (la quarta?), uscire dal tunnel, aprire un varco. Con la porta perfettamente e regolarmente blindata come da disposizioni governative, ma il televisore acceso, almeno quanto l'immaginazione. Perché sì, di evasioni si tratta, ma tutte di stampo cinematografico. Tante, tantissime: dal Chaplin evaso del 1917 a <The escape of prisoner 614>, debutto (maltrattato dai critici) di Zach Golden datato 2018, il 51enne padovano Natale Luzzagni di piccole e grandi fughe ne ha messe insieme 420. Passandole in rassegna ne <La grande illusione> (dal titolo del capolavoro di Renoir che del genere – e non solo – è un film-chiave), un libro importante e ambizioso non solo per le dimensioni e la ricerca iconografica (oltre 400 pagine, corredate da 330 bellissime fotografie e 380 manifesti originali), ma anche per l'originalità dell'assunto che costringe il lettore (e lo spettatore) a entrare <dentro> a film che, al contrario, lottano furiosamente per uscire <fuori>, per scappare dalla propria costrizione (umana, cinematografica) e sognare, realizzare, un altrove.
Luzzagni esplora in particolare due grandi filoni: i <prison movies> e gli <escape movies>. I primi, come <Le ali della libertà> per citarne uno notissimo, sono quelli di più stretta ambientazione carceraria, dove l'eroe, innocente o meno, cerca di scappare dal carcere: gli altri, in maniera maggiormente allargata, comprendono invece quelle pellicole dove la fuga – come nel caso de <I 400 colpi>, il meraviglioso film di Truffaut – è sì da un istituto, ma anche da un ambiente, da una <condizione> sociale, morale, familiare. In ogni caso, non sempre l'evasione è solo materiale; ma qualunque sia il luogo da cui provi a fuggire, solo una cosa è certa: potrai scappare da tutti e da tutto tranne che da te stesso.
Aperto e chiuso il volume con vari focus – dalla censura ai film rari, dai manga a Piedone, da Jean Gabin a Miklós Jancsó, dai film sexy-sadici alle locandine e ai manifesti di quelli più leggendari -, brevi saggi in cui l'autore passa in rassegna le mille e più sfumature dell'evasione, Luzzagni affronta tutti i generi, seguendo un ordine cronologico: riservando le pagine più dense al film che regala il titolo al libro edito da Venilia, ma anche a classici come <Un condannato a morte è fuggito>, storia vera di un prigioniero dei nazisti messa sullo schermo con il suo stile inimitabile e anti spettacolare da Bresson, a <Il buco> di Becker, all'ormai mitico <La grande fuga>, a <Papillon>, a <Fuga da Alcatraz>. Spazio anche, seppure non abbiamo una grandissima tradizione su questo terreno (che è stato molto più frequentato da americani e francesi), ai film italiani: <I viaggiatori della sera> di Ugo Tognazzi, ad esempio è sicuramente, in questo senso, un'incursione interessante.
Un libro che si può leggere anche per <frame>, andando a pescare questo o quel film, e che ora che anche il nostro stato è, in parte, quello dei reclusi – con la differenza sostanziale che al contrario dei protagonisti di queste pellicole noi dobbiamo fare di tutto (ed escogitare piani sempre più <ingegnosi>) per rimanere tra le nostre quattro mura e non per abbandonarle il prima possibile -, fa scattare un singolare cortocircuito: facendo in modo che il sentimento verso chi evade, sullo schermo, da una gabbia e dal mondo, sia ancora di maggiore accondiscendenza, di vera comprensione, se non addirittura di fratellanza. Prima forse di comprendere che stata solo una grande illusione.