The Old Oak, un altro mondo è possibile

«Io credo che un altro mondo sia ancora possibile, assolutamente».

Dice che questo sarà il suo ultimo film e anche se gli anni sono già 87, c'è da sperare che non sia vero: perché non c'è battaglia che meriti di essere combattuta che non lo veda in prima fila, sul fronte dell'ingiustizia, dritto sulla barricata. So che possiamo fare a meno di molte cose, ma non credo che potremo, un giorno, rinunciare a cuor leggero al cinema di Ken Loach: alla sua indignazione, al suo sgomento. Ma anche alla sua fede, persino utopica, nella speranza.

Anche perché nessuno come lui sa che tutto il mondo è paese: e frasi fatte e pregiudizi che corrono di bocca in bocca nella depressa e impoverita contea di Durham, non sono diverse da quelle che puoi sentire al bar dello sport di Carate Brianza. O nella civilissima Parma.

La storia di un gruppo di profughi siriani che trovano rifugio dall'orrore della guerra in una cittadina del Nord Est dell'Inghilterra, abitata da ex minatori. I rapporti coi vicini - all'insegna del «io non sono razzista ma...» - non partono nel migliore dei modi. Ma una giovane rifugiata che parla inglese e un barista del posto hanno un'idea: trasformare il retro del pub, l'Old Oak, in una sorta di mensa dei poveri, un luogo dove residenti e nuovi arrivati possano incontrarsi e conoscersi...

Come sempre nei suoi ultimi film dentro alla più stretta attualità (anche se questa volta la pellicola è ambientata nel 2016), ai conflitti esplosivi del presente, pronto a analizzare e denunciare la complessità dei problemi sociali, Loach evidenzia il paradosso etico di una comunità di minatori («i lavoratori che avevano la coscienza politica più profonda»), prima distrutta dalla Thatcher e poi abbandonata anche dai governi seguenti, incapace di accogliere e di sentirsi solidale con chi, come loro, ha perso molto e in qualche caso tutto.

E' la realtà amara di un film toccante che però, come il suo autore, ha ancora fiducia nell'umanità. E se è vero che la retorica prende un po' la mano al regista di «Io, Daniel Blake» e «Terra e libertà» e il didascalismo inficia un po' la nostalgia di una nazione solidale che (forse) non esiste più, l'impegno del working class hero del cinema è sincero, la fotografia dell'intolleranza più grassa puntuale. E pazienza se ovunque regna «la fottuta legge della giungla»: il cuore di questo ragazzino idealista di 87 anni continua a battere dalla parte giusta.