Misericordia, l’infinito derviscio dell’esistenza

Gira Arturo, gira: e conta fino a cento in quell'angolo di rudo e di inferno, tra miseria e cuore, rifiuti e umanità. Che nell'infinito derviscio dell'esistenza - atto rivoluzionario di gioia incosciente - «siamo noi la monnezza»: ma se la Natura alza la voce e reclama la sua vendetta, almeno Baglioni canta «Avrai».

Ha un inizio brutale e primitivo, «Misericordia», il nuovo film di Emma Dante che nel degrado e nella violenza trova sprazzi di vera poesia, squarci di un altrove di non scontata ma struggente bellezza. E in in «mondo fuori», contesto quasi mitologico soggiogato della crudeltà di un moderno Polifemo, fa muovere sul palco più ruvido un uomo rimasto bimbo e le sue tre madri, famiglia di fatto che condivide - e si fa carico - di una disperazione anche nostra.Un film sul corpo - anche quello anarchico e libero del protagonista (Simone Zambelli, professione ballerino: bravissimo) in un'astratta Sicilia di schiave -, «Misericordia», impietoso ma tenero nella sua crudezza, in cui la solidarietà femminile è anche un laico riconoscersi tra ultimi: una storia che esce dall'antro teatrale per lasciare che il cinema ne illumini l'arcaico ma contemporaneo squallore. E ne accarezzi, con gratitudine, l'anima.