L'amore bugiardo: requiem sulla coppia
Se vi dicono che questo film è un thriller non credeteci: mentono sapendo di mentire. Anche se hanno ragione. Ma il discorso è un altro. Perché <L'amore bugiardo> (o, meglio, <Gone girl>), il nuovo lavoro di David Fincher, il regista di <Seven>, <Fight club> e <The social network>, è qualcosa di più e di diverso - e persino di più terribile - di una donna che scompare nel nulla: è una riflessione, amarissima e feroce, sulla sconfitta stessa (e senza appello) dell'amore, sulla caducità del sentimento, sull'inattualità e fragilità del concetto di coppia oltre che sul fallimento, dichiarato, dell'istituzione matrimonio, che altro non è se una macabra messinscena dove ognuno finge di essere quello che non è o che non può (o non vuole) diventare. Un film sulle aspettative mancate, sulle promesse tradite, sulla recita sociale (e sociopatica) di una relazione minata, già alla base, dalla menzogna: che inizia dolce in una nuvola di zucchero, prosegue inquieto eroso dal tarlo del sospetto e finisce rassegnato nella trappola della recita di cui abbiamo deciso di fare parte.
Nick torna a casa e non trova la moglie: in salotto, segni di lotta. Scatta l'allarme: ma più i giorni passano più la posizione dell'uomo si fa difficile. Cosa nasconde quella coppia così invidiata e <perfetta>?
Costruito a due voci - quella del marito, che scivola inesorabilmente, suo malgrado, in un abisso di colpa e l'altra della moglie che parla attraverso i ricordi lasciati impressi sul diario - il film di Fincher è una velenosa e malata rappresentazione coniugale attraverso cui uno dei maggiori registi del cinema contemporaneo esplora gli angoli ciechi e i lati più oscuri di un'epoca dove, nelle tare della cultura mediatica dominante (il <devi piacere> di una cattiva televisione che confonde eroi e mostri a piacimento influenzando l'opinione pubblica), tutto è manipolabile (persone, sentimenti, crimini) e manipolato. Ricco di colpi di scena e di dialoghi acuminati e intelligenti (che rimbalzano meglio di una pallina in uno scambio tra Federer e Nadal), <L'amore bugiardo> lavora sulla doppiezza dei suoi protagonisti (lui ha qualcosa da nascondere e da farsi perdonare, lei ha un alter ego letterario che le sta sempre un passo avanti...), evidenziando, con crudele franchezza, la miseria di un'umanità che incapace di essere all'altezza delle proprie aspirazioni e dei propri desideri, insegue un'etica rovesciata, dove al delitto non sempre corrisponda un castigo. Molto coinvolgente, con qualche vago eco di <Brivido caldo> e <Presunto innocente> (solo per fare due titoli), il film, candidato a 4 Golden Globe, richiede però alla spettatore uno sforzo di fiducia, in quanto la vicenda assume contorni improbabili e non è priva di forzature: ma se Ben Affleck ci mette la faccia da ignaro bietolone, lo sguardo enigmatico e ipnotico di una bravissima Rosamund Pike trascinano lo spettatore dentro allo schermo e, nello stesso tempo, probabilmente, avvicinano l'ex Bond girl, figlia secchiona di un cantante d'opera, alla prima, strameritata, nomination all'Oscar.