Hostiles, un western politico e feroce nella terra sacra dell'integrazione
Sembra morto, ma è solo svenuto: feroce e virile, spietato quanto il mondo che racconta, il western batte un colpo. E lo fa alla sua maniera, sfruttando al meglio la luce naturale, stagliando in un orizzonte amplissimo figure dolenti e pietrificate: per riflettere sì sul mestiere di uccidere, ma, soprattutto, sulla necessità di ascoltare - e provare nonostante tutto a comprendere (e qui il messaggio è attualissimo) - chi è diverso (o altro) da noi. Guarda dentro l'anima assassina e vendicativa dell'America (senza paura di sapere cosa ci troverà), ma insegue una riconciliazione necessaria, una pacificazione anche interiore, <Hostiles>, il film denso e brutale di Scott Cooper che va oltre il genere per scheggiare, sgretolare, con barlumi di umanità il muro incrollabile delle certezze. E attraversare, in sella a una speranza, la terra sacra dell'integrazione: là dove ogni differenza merita rispetto.
Piombo, odio e critica sociale nella storia, dagli echi fordiani, di un capitano dell'esercito stanco di guerre costretto suo malgrado a scortare un famoso capo indiano, ora anziano e malato terminale, fino al territorio dove è nato.
Classico e in parte enfatico, <Hostiles>, costellato di lutti e prese di coscienza, alimenta il dibattito sull'incapacità di comprendere e accettare lo straniero. E' roba da duri, che se scappi ti becchi un proiettile nella schiena: un western politico dalla confezione di classe che sconta una sceneggiatura un po' ripetitiva e schematica. Ma la chiusura è buona: così come l'interpretazione, trattenuta e interiorizzata, del cavaliere oscuro Christian Bale, che dà luce e verità al suo capitano morto dentro.