Crowe, cuore di padre: un gladiatore dietro la macchina da presa
Non chiamatela crisi di mezza età. Certo, per il gladiatore sono 50 tondi tondi: e dopo le ovazioni da Oscar nell'arena di cose ne sono successe tante. Due figli, una stella sulla Walk of fame, l'arca di Noè e le frecce di Robin Hood: si è separato, ha comprato una squadra di rugby, è diventato (lui che per passione suona con un gruppo rock) il titolo di una canzone rap. Tanto che adesso, un po' stanco di stare (solo) davanti alla macchina da presa, Russell Crowe ha deciso anche di inventarsi regista: debuttando con un ambizioso filmone avventuroso-sentimentale che ricorda non troppo da lontano l'ultima, sfortunata, pellicola di Fatih Akin (<The cut>) e comincia dove finisce un bellissimo film di Peter Weir, <Gli anni spezzati>. Proprio da quella battaglia di Gallipoli (che durante la prima guerra mondiale vide di fronte australiani e neozelandesi contro l'esercito turco) di cui non a caso quest'anno cade il centenario. Un massacro in cui l'agricoltore e rabdomante Connor ha perso tutti e i tre i figli: così, finito il conflitto, decide di partire alla volta dell'Europa per dare loro giusta sepoltura...
Non particolarmente avvincente (anche se nella seconda parte più <mosso>), troppo romanzato e con un finale (in tutti i sensi) zuccheroso, l'esordio di Crowe, più onesto e sentito che non personale, eccede in ralenti e flashback melodrammatici faticando a smarcarsi dalle regole non scritte di un cinema <classicone> e (anche stilisticamente) prevedibile. Cucito su di sé il ruolo dell'eroe tutta fede e determinazione, ostinato e <visionario>, in grado di trovare l'acqua nel deserto ma smarrito nel rimorso di avere perso i suoi figli, Crowe gioca le carte migliori quando mette in scena l'incontro-scontro (attualissimo) tra culture (e religioni) differenti, nell'intento pacificatorio con cui coglie e rispetta punto di vista e umanità dei vinti, là dove, come diceva Pavese, solo per i morti la guerra è finita davvero. E più di tutto, smesse le divise, conta essere uomini: e non caporali. La mano però, nonostante un bel piglio nelle sequenze più spettacolari, è ancora un po' scolastica per quanto corretta e le influenze cinematografiche forse troppe. Ma il neo regista (che quest'anno sarà padre anche per Gabriele Muccino) ha pure qualche <merito>: come quello di avere resuscitato dall'oblio Megan Gale (qui in una piccolissima parte), bellona degli antipodi che qualche anno fa faceva girare la testa agli italiani negli spot di una nota compagnia telefonica.