7 minuti, la parola alle operaie
Rinuncereste a 7 minuti della pausa pranzo pur di salvare il posto di lavoro? Sembra una domanda retorica: invece è una questione nazionale. Perché ha a che fare coi diritti, con la dignità, coi principi. Anche quelli con cui non ci apparecchi la tavola. In gioco, il futuro: 11 donne che devono decidere per 300. Ma intorno a quel tavolo dove si litiga e si piange c'è lo specchio di qualcosa di più grande: la grande crisi, la questione degli stranieri, i ricatti del potere, un Paese sempre più diviso.
Mira al bersaglio grosso, alla riflessione sul presente, guardando a "La parola ai giurati" (che è il modello dichiarato) e, in parte, anche a "Due giorni, una notte", Michele Placido, che con "7 minuti" gira un film polifonico e corale tratto da uno spettacolo teatrale a sua volta ispirato a una clamorosa battaglia sindacale avvenuta in Francia. E lo fa alla sua maniera, coi suoi meriti e i suoi limiti, retorica e poche sfumature, ma anche piglio civile e onestà intellettuale.
Girato a Latina, in un vero calzaturificio, il film racconta il giorno cruciale di un'azienda, ceduta dai vecchi proprietari ai francesi. Le operaie temono per i loro posti, ma in realtà la proposta è quella di non tagliare nessuno: a parte 7 minuti della pausa pranzo. Tocca al consiglio di fabbrica votare: che però, dopo un momento di entusiasmo iniziale, si spacca...
Stretto sui volti, sulle mani rosse dal freddo, sui volti su cui la vita ha lasciato lividi e segni, quello di Placido è un film morale che funziona quando mantiene una misura, ma che, d'altra parte, a tratti eccede, si fa più teatrale e meccanico la' dove invece avrebbe potuto e dovuto asciugare. Montato bene, ma un po' troppo recitato, l'atto di accusa a chi, sette minuti alla volta, elimina sempre più diritti, arriva comunque a destinazione. Il film sta in piedi, anche alle moltitudine delle voci femminili, non tutte allo stesso livello: ma tra un'Ambra Angiolini e un'Ottavia Piccolo, è Fiorella Mannoia la vera sorpresa.