Colette: l’eroina è anticonvenzionale, il film per niente

Ci vuole proprio tutta la peggiore predisposizione (e pigrizia) del mondo per raccontare un personaggio anticonformista, ribelle e <iconoclasta> con un film che – per forma e intenzione – ne è l'esatta e specchiata antitesi. Parliamone: ma una come Colette, scrittrice osannata, attrice di music hall, androgina libertina nell'estasi della Belle Époque, avrebbe meritato di più. E di meglio. Invece, si ritrova imprigionata – lei che ha lottato tutta la vita per essere libera – in un biopic pavido, calligrafico, tradizionale, molto, ma molto, vecchio. Un film inamidato e pieno di inutili sottolineature che sfiora solo superficialmente la dimensione  complessa di questa <eroina> anticonvenzionale e proto femminista capace di dare voce a una generazione di giovani donne altrimenti mute. 

Insegue il fantasma dell'emancipazione, ma manca di slancio, di profondità e – soprattutto – di coraggio, il ritratto che di Colette - bella ragazza di campagna che a fine '800, sposato il gaudente Willy (astro letterario che in realtà sfrutta il talento della dotatissima moglie), va alla conquista di Parigi - fa l'inglese Wash Westmoreland: corretta la confezione, partecipate le interpretazioni (a prestare il volto alla scrittrice è Keira Knightley), funzionale trucco e parrucco, ma  la bisessualità della protagonista è da libri Harmony, il ritmo stantio, l'accompagnamento musicale particolarmente inadeguato. Si ragiona ancora una volta (come già in <Big eyes> e in <The wife>) sul talento derubato, messo a servizio dell'uomo che (ingenuamente e troppo a lungo) si ama; c'è il fervore dell'autodeterminazione, la volontà di rompere gli schemi, lo sguardo proiettato verso la modernità. Ma passata un'ora ti chiedi quando inizi il film.

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