La Belle Epoque, il gioco della nostalgia
La psicanalisi si fa online grazie a un algoritmo, il vino è senza alcol, le sigarette elettroniche: e pure le auto (non bastavano le mogli?) si sono messe a parlare e a dare ordini. Ma dite, non si stava meglio prima? Ne sa qualcosa il francese Nicolas Bedos che sulla difficoltà di accettare che tutto cambi e di fare a patti con un mondo (e con un sé) che non si riconosce più dirige e scrive benissimo <La belle époque>, un irresistibile melò che invita al ballo la commedia del remarriage, un gioco dove tutto è finto tranne quello che conta davvero: i sentimenti, i ricordi, i rimpianti.
Victor (un Daniel Auteuil in gran forma) è un fumettista in crisi: mollato dalla moglie (Fanny Ardant), decide di accettare il regalo del figlio: fare un salto nel passato. A organizzare tutto, dietro lauto compenso, è un’azienda che grazie ad attori, scenografie cinematografiche e trucchi può ricreare qualsiasi epoca. Victor sceglie il 16 maggio ‘74: il giorno in cui incontrò la donna della sua vita...
Alla ricerca del tempo perduto, nel limbo dove ognuno è chiamato a (ri)scrivere il copione della propria vita, e i <ti amo> che riecheggiano sul set sono più reali di quelli conservati per le stanze scolorite del quotidiano, <La belle époque>, si muove bene su molteplici binari, divertente e struggente insieme, in fuga da un presente a cui si deve, volenti o nolenti, tornare: un film che si interroga sulla nostalgia (sul suo potere, sui suoi limiti) in modo originale, ma, in un continuo gioco di specchi, diventa anche una riflessione rivelatrice sul cinema e sul mestiere dell'attore. Una finzione così stratificata e consapevole che, per una volta, ci si può permettere anche la cosa più importante: essere sinceri.