Dio è donna e si chiama Petrunya: ognuno ha la sua croce
Ognuno ha la sua croce. Anche Petrunya. Che anzi la propria pur di prenderla (e accettarne il peso...) si è tuffata nelle acque gelide del fiume vestita di tutto punto. E mica lo aveva pianificato: ma le è probabilmente sembrato la cosa giusta da fare in quel momento. Nel nostro tempo. Noncurante degli insulti e delle offese di decine di uomini quasi ignudi a cui non è rimasto che gridare allo scandalo, al sacrilegio, all'oltraggio. Alla lesa (chi sa mai perché) maestà.
E' un tema che scotta, più che mai sula bocca di tutti, anche se a volte trattato con molta ipocrisia e superficialità, quello della parità di genere, della condizione femminile, di doveri imposti e diritti negati solo in base al sesso: ma se c'è un modo per parlarne senza scivolare nella retorica, per arrivarne al nocciolo senza buttare via prima la polpa, è quello escogitato da Teona Strugar Mitevska, 45enne regista macedone, che, partita da un fatto di cronaca accaduto nel 2014 e dimenticato in fretta nel cassetto delle curiosità, sviscera le contraddizioni di un argomento molto serio attraverso una commedia dissacrante che imbocca, senza paura di perdersi, la strada del paradosso.
Petrunya ha 32 anni, vive ancora coi genitori, ha una laurea in Storia di cui non sa che fare e qualche chilo di troppo. Dopo l'ennesimo colloquio di lavoro andato male (col datore che, molto professionalmente, prima le piazza una mano sulla coscia poi le dice che con una come lei non ci andrebbe mai...), con l'autostima e il morale sotto scomodi tacchi, si imbatte in una cerimonia ortodossa: il prete lancia una piccola croce di legno nel fiume, chi la prende per primo avrà, secondo la tradizione, un anno fortunato. Possono partecipare solo gli uomini: ma Petrunya decide di istinto che le cose (molte cose) devono cambiare...
Puntato il dito contro una società arcaica e maschilista, bigotta e meschina, <Dio è donna e si chiama Petrunya>, premiato a Berlino, si avventura alla periferia del mondo in cerca delle deboli tracce di uno Stato di diritto. Da una parte le regole di Dio, dall'altra quelle degli uomini: e nel mezzo un tempo che sembra eterno, pietrificato, scolpito. Che la Mitevska sgretola con la forza dell'ironia, cogliendo l'inattualità e l'ingiustizia sociale di abitudini e <leggi> secolari. E di una comunità chiusa che affronta con disprezzo e aggressività <il diverso> da sé che prova a infrangere lo status quo. Sviluppata la buona idea di partenza senza travalicare i toni, evitando sia il grottesco che il <manifesto>, il film (pur scontando una scelta non particolarmente brillante delle inquadrature) abbraccia nella seconda parte l'unità di tempo e luogo, trasformando la centrale di polizia dove Petrunya (colpevole di cosa?) viene interrogata, nel palcoscenico di un teatro dell'assurdo. Dove più che pretendere che il mondo cambi, la cosa più importante è rafforzare la propria consapevolezza così da impedirgli per sempre di farci ancora del male.