Orgoglio e pregiudizi: la vita 120 battiti al minuto
Era una guerra invisibile: soprattutto per quelli che hanno finto di non vederla. Di non accorgersi che non era affare di pochi ma problema di tutti: e che si combatteva ovunque, in ogni casa, in ogni strada. Perché il nemico, in fondo, non era la malattia: ma l'indifferenza. Orgoglio (tanto) e pregiudizi (troppi, come sempre) nel vitale, lungo, sincero <120 battiti al minuto>, il film militante con cui Robin Campillo rievoca gli anni dell'Aids. Tra amore e morte: e slogan, pastiglie, amicizia, blitz pacifici, confronti accesi, abbracci, cure che non bastano mai.
Un film di lotta e di paura, una sorta di melodramma politico dove il <manifesto> e la protesta pubblica si fondono con relazioni, angosce e sentimenti decisamente più intimi e privati.
Già sceneggiatore e montatore per Cantet, il 55enne Campillo, qui al terzo film (con il primo, <Les revenants>, ha ispirato una famosa serie, mentre col secondo, <Eastern boys>, vinse la sezione Orizzonti a Venezia), rende onore al movimento Act Up (di cui ha fatto parte) che nei primi anni '90 fu protagonista di diverse azioni dimostrative a Parigi per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell'Aids. Rappresentanti del governo macchiati in pubblico di sangue finto, irruzioni in case farmaceutiche, preservativi distribuiti nelle scuole: tutto nella speranza di scalfire un'opinione pubblica che ancora considerava l'Aids come la peste dei gay.
Montato con passione e scritto con sensibilità, <120 battiti al minuto>, vincitore del Grand Prix all'ultimo Festival di Cannes (dove è stato accolto benissimo) e candidato francese all'Oscar, per quanto non sia un film particolarmente inedito e finisca per dilungarsi eccessivamente, segue con non banale vicinanza i destini dei suoi protagonisti, cogliendone con dolcezza ed empatia quel vivere a tempo, in apnea, con l'ombra della morte sempre addosso, là dove l'orizzonte è, ogni giorno, un passo più distante, un metro più lontano.