Toccante e segreto: Arrival, incontri ravvicinati con l'anima
C'è l'accettazione dell'altro, ma anche, e soprattutto, quella (ancora più profonda, sottile, pesante) del proprio destino, che è indivisibile, tuo e di nessun altro: un domino di giorni e di emozioni, di flash e di deja vù, che anche se sapessi già come va a finire rifaresti comunque tutto. A costo di accogliere anche un lutto devastante, quando forse potresti risparmiartelo: pur di (ri)vivere ogni istante, ogni sorriso, ogni, bellissimo e maledetto, momento.
E' fantascienza alta, cerebrale, fredda, claustrofobica eppure parla all'uomo - alle sue ansie, alle sue debolezze - quella di <Arrival>, l'affascinante film con cui il canadese Denis Villeneuve (è il regista, bravissimo, de <La donna che canta>, <Prisoners> e <Sicario>) spezza la linearità del tempo per riflettere sull'ambiguità del linguaggio (che influenza e limita il nostro modo di pensare), là dove - in un mondo diviso come il nostro - l'arma più forte (nonché l'unica ormai possibile) è la comunicazione, ultima rivoluzione possibile, vera e indiscutibile conquista di civiltà.
Tratto da <Storia della tua vita>, il bellissimo, magnetico, racconto di Ted Chiang, <Arrival> è un film denso e complesso, che guarda a <Incontri ravvicinati del terzo tipo> ma anche a <Contact> (e prende spunto da basi scientifico-filosofiche come <Inception> e <Interstellar>), dove gli alieni sono la scusa o forse l'alibi per allargare la profondità di campo (e di visione) di una coscienza comune. Perché se non lo sai anche l'anima ha codice: e tocca decifrarlo.
Dodici astronavi sbarcano sulla Terra: gli extraterrestri hanno la forma di enormi polpi a sette tentacoli e si esprimono con segni incomprensibili. Cosa vogliono? Che intenzioni hanno? Toccherà alla linguista Louise Banks (Amy Adams, intensa e dolente) tentare di capirlo: ma il tempo stringe e qualcuno è già pronto a scatenare una guerra totale...
Opaco, segreto, privo volutamente di luce squillante, inizialmente doloroso eppure aperto alla speranza di una comprensione (anche di sè) possibile, l'ambizioso fanta thriller esistenziale di Villeneuve (che quest'anno porterà sullo schermo anche la scommessa più grande della sua carriera, il sequel di un cult assoluto come <Blade runner>) rifiuta i trucchi del genere, puntando su un approccio rigoroso e colto che evita accuratamente facili spettacolarizzazioni. Per immergersi invece nella necessità degli eventi: dove quel lento capirsi, quell'accettare un futuro estremo ma vero, guadagnato e speso, più di tutto rende <Arrival> un film toccante, come il tenero abbraccio di chi già conosce la propria e l'altrui sconfitta.
Insonne, scomodo e violento: Tom Ford va a caccia di Animali notturni
E' un film violento e insonne, intenso e scomodo, tesissimo e traumatico: e pieno di rimpianti, di rimorsi, di sbagli che non si possono correggere. Né cancellare. Un thriller esistenziale ansiogeno e appassionante che ti conquista già dalla prima, strepitosa, sequenza, dove, sui titoli di testa (i più belli e sorprendenti di quest'anno), ballano donne dai corpi sfatti e nudi, flaccidi e devastati, vecchi e moribondi, mostrando fiere, insieme al declino dell'impero americano, il ghigno di un'epoca di volgare e orrenda opulenza. In un mondo <fatto di nulla> dove <a nessuno piace davvero quello che fa>, l'opera seconda di un <single man> che da ragazzo voleva fare l'attore ma poi, pensando di non essere bello abbastanza, ha preferito diventare uno dei più grandi stilisti del mondo: e ora, sette anni dopo il suo debutto, torna al cinema a caccia di <Animali notturni>.
Uno come Tom Ford, esteta geniale che gira un film feroce e spigoloso prendendo in prestito <Tony e Susan>, un libro di Austin Wright, per raccontare di una mercante d'arte di successo (Amy Adams, tesa come una corda di violino, segnata da un trucco che pare una maschera) delusa da tutto (se stessa compresa) che un giorno riceve il romanzo scritto dall'ex marito (l'intenso Jake Gyllenhaal): una storia di dolore e di vendetta che non può lasciarla indifferente...
Tradotto quello che sulla carta era un monologo interiore in un triplice percorso narrativo (il lussuoso ma annoiato quotidiano della protagonista, i ricordi del rapporto con il marito che ha lasciato e infine la vicenda, tragica, sviluppata nel romanzo), Ford (premiato a Venezia con il Leone d'argento) lavora su mondi paralleli che - pur visualizzando con stili, registri e ambientazioni marcatamente e volutamente differenti (dalle geometrie dalla Los Angeles upper class fredda e meccanica alla rabbia scomposta di un Texas assolato e fisico) -, fa coesistere ed entrare, con grande abilità, in qualche modo in contatto, firmando un film emozionante nel suo ridefinire emotivamente un delitto e castigo dei sentimenti.
Costruita benissimo, con raffinata maestria, forte di interpreti perfetti (non solo i protagonisti, ma anche i <comprimari> di lusso come Michael Shannon e Aaron Taylor Johnson), <Animali notturni> è una pellicola stratificata e cinica dove l'incubo americano gronda disillusione, deriva e malattia, lasciando allo spettatore il privilegio di osservare da vicino un mondo dove tutto muore, che non conosce (e probabilmente non merita) salvezza. Né, soprattutto, perdono.