Recensione, Festival, 2025 Filiberto Molossi Recensione, Festival, 2025 Filiberto Molossi

Io sono ancora qui, la moglie e madre coraggio che sfidò la dittatura

C’è una parola che rappresenta questo film meglio di tutte le altre. E la parola è dignità. Che è quella cosa che anche quando il mondo crolla ti fa stare a testa alta mentre gli altri chinano la propria. Qualcosa che ha a che fare col coraggio e l’ostinazione, col perseverare e col resistere. Con la vita, sì, laddove tutto intorno è solo morte. Qualcosa che - nella scena che da sola fa il film - mentre gli altri ti vorrebbero triste nella foto, ti fa esclamare con rabbia e con orgoglio: «Sorridete!». Sì, sorridete figli miei: anche se sapete in cuor vostro che vostro padre non tornerà mai più, anche se hanno cercato di spaventarvi e sottomettervi in ogni modo, in ogni istante. Il sorriso come estremo gesto di ribellione, atto politico e rivoluzionario di chi non si arrende: credevate forse di averci piegato? E invece no: non ci avrete mai. Nemmeno questa volta.

È un indignato dramma kafkiano che porta il cinema civile nel territorio più intimo dello spaccato familiare, «Io sono ancora qui» del brasiliano Walter Salles (quello dei «Diari della motocicletta»), che, prendendo spunto dalla storia vera dei Paiva, affronta una pagina oscura e in buona parte frettolosamente rimossa del suo Paese, raccontando, attraverso la forza e l'orgoglio di una madre e moglie coraggio, la tragedia dei desaparecidos durante la dittatura militare dei primi anni '70. Nel Brasile di Pelè e Rivelino, quando mentre la Selecao vinceva i mondiali a uscire sconfitta e umiliata era la democrazia.

Un incubo vissuto in prima persona da Eunice che un brutto giorno si vede prelevare il marito, ingegnere ed ex deputato liberale, dai militari. Si batte per anni per sapere cosa gli è accaduto e intanto, costretta dalle circostanze (i conti bancari, intestati al marito, vengono bloccati) si inventa un'altra vita: laureandosi in giurisprudenza a 48 anni per diventare un'avvocatessa di riferimento in tutto il Paese per la difesa dei diritti umani.

Se l'aria distopica che si è respirata in Brasile negli ultimi anni rende urgente la rievocazione di questa storia vera, prevalente si rivela però in «Io sono ancora qui» (premio per la migliore sceneggiatura all'ultima Mostra del Cinema di Venezia) il ritratto della grandezza morale di una donna che fa di tutto perché la sua famiglia composta da cinque figli non vada in mille pezzi dopo il rapimento (e il successivo omicidio per lungo tempo negato dal governo) del marito. Seppure tradizionale, il film, che ha una prima parte che ricorda molto da vicino «Roma» di Cuarón, porta in dote però un personaggio difficile da dimenticare, a cui una meravigliosa Fernanda Torres dona folgorante intensità. E un sorriso resiliente che le ha permesso di vincere il Golden Globe e di entrare nella cinquina delle migliori attrici candidate agli Oscar, dove la pellicola di Salles ha ottenuto anche la nomination come miglior film in assoluto e miglior film internazionale.

Un'ultima curiosità: a interpretare Eunice da anziana è la 96enne Fernanda Montenegro, protagonista di uno dei più celebri film di Salles, «Central do Brasil». E non casualmente madre di Fernanda Torres. È stata la prima attrice brasiliana candidata all'Oscar: sua figlia è la seconda.

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