Festival, 2016, Recensione Filiberto Molossi Festival, 2016, Recensione Filiberto Molossi

Al di là delle montagne, ravioli al vapore conditi con le lacrime

Comincia e finisce sulle note della scatenata <Go West> dei Pet shop boys e corre sui binari della nostalgia, di una giovinezza che è un battito di ciglia, <Al di la' delle montagne>, il bellissimo film in tre movimenti - una prima parte in 4/3 ambientata nel 1999,  l'era delle grandi speranze, una seconda (in formato panoramico) nel 2014 e un terzo atto in cinemascope che ci porta nel 2025, futuro alieno in cui per capire tuo figlio avrai bisogno addirittura del traduttore di Google - del cinese Jia Zhang-Ke: uno struggente affresco privato e sociale che il regista di <Sill life> (Leone d'oro a Venezia nel 2006) traduce in una fotografia del terzo millennio colma di disincanto e di passione, in un racconto anche morale che riflette, con grande  partecipazione, sul tempo che passa e su quello che resta, dove i treni da lenti diventano veloci e invece che sui libri si studia sull'iPad, mentre ci scopriamo sempre più soli.

Una storia d'amore e di amicizia che coinvolge la bella Tao, indecisa - nella Cina che vuole cambiare pelle e imita l'Occidente - tra due pretendenti, amici tra loro da sempre: il minatore Liangzi e l'affarista Zhang.  Sceglie quest'ultimo, lo sposa ma poi divorzia. E suo figlio, l'unica sua vera grande gioia, emigra col padre in Australia. Dimenticandola: o forse no...

Sublime interprete anche altrove della Cina contemporanea, il maestro della Sesta Generazione sottolinea con impressionante lucidita' le conseguenze dei cambiamenti economici sull'individuo, osservando da vicino - con la capacita' che appartiene a pochi di comprendere nel profondo un fenomeno mentre accade - la dolorosa ma rapidissima metamorfosi di un popolo la cui identità viene sbriciolata nell'impatto col capitalismo, in una mutazione che ridisegna anche i confini della geografia dei sentimenti.

Dalla fiducia entusiasta nel secolo nuovo (e nella propria, spensierata, gioventù) all'amarezza di un Paese che ha perso, insieme alle tradizioni, anche se stesso: in un'emblematica vicenda privata <Al di la' delle montagne> (il miglior film secondo noi dello scorso Festival di Cannes) coglie, anche attraverso le canzoni, la trasformazione culturale e emotiva di una nazione. Guardando indietro e avanti (la parte più debole del film), tra le speranze di ieri e lo smarrimento di domani; nella certezza che a volte, prima che la neve torni a cadere, i ravioli al vapore conoscono un solo condimento: le lacrime.

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Dal Far East con furore

Ho appena fatto un (purtroppo rapido) assaggio del Far East Film Festival di Udine: uno sguardo interessante e sempre curioso sul cinema orientale, una bella e ricca rassegna (una settantina di film - capofila il Giappone con 12 - in 9 giorni) organizzata molto bene, con un pubblico di fan motivatissimi (tanto che a volte applaudono anche quando se ne potrebbe fare a meno) e un gruppo di ideatori e promotori entusiasti. Realtà fortissima del nuovo millennio (anche a livello industriale: la Cina ormai fa numeri più alti di quelli di Hollywood), il cinema orientale ha alcuni marcati tratti distintivi. Da quello visto a Udine, quest'anno, ad esempio, me ne vengono in mente 5: eccoli.

1. Le capacità tecniche

Sono mostruose. Anche nei film meno riusciti, la professionalità di registi e tecnici sono a un livello medio altissimo. Se la costruzione narrativa a volte conosce delle pecche (citazioni e riproposizione di codici occidentali, originalità relativa o eccesso di rilanci), difficilmente la capacità tecnica, anche se il regista sembra appena uscito dalle medie, e' meno che eccellente: merito di un'industria e di una scuola che funzionano. I coreani (vedi le scene di massa di "Ode to my father" o l'eleganza de "Il sarto del re") sembrano avere una marcia in più, mentre i giapponesi dominano meglio le sfaccettature (da "Kabukicho love hotel" a "Make room") dei copioni. Gran talentaccio di riprese ovviamente anche nel cinema popolare e di genere (kung fu action o wuxia) made in China e Hong Kong.

2. Il peso del passato​

E' una discreta costante: sia come memoria storica che inteso come spettri che condizionano il comportamento dell'eroe di turno. Ma viene anche usato in chiave nostalgica.​ Insomma, voltarsi indietro conta quanto guardare avanti.

3. Il gioco​

D'azzardo, ovviamente: a volte è un corollario della trama, altre il fondamento. Dalla studentessa giocatrice di biliardo al baro a carte in attesa della "mano di Dio", passando dai videopoker delle sale giochi

4. Le prostitute ​

Sono ovunque e spesso con un peso narrativo non da poco: vite vendute o da riscattare, professioniste degli hotel a ore o adolescenti sfruttate in Thailandia. 

5. Le arti marziali ​

Sono ancora uno dei fondamentali de​l cinema orientale: tra Cina e Hong Kong, il kung fu e' sempre re. E i combattimenti audacissime coreografie.

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