L'amore, il tempo, la memoria: Ricordi?
<Ma dovrà arrivare anche lui, no?>. <Ma chi?>. <Il futuro>.
In un mondo dove il presente non esiste e tutto è reminiscenza nitida o sbiadita, fremito dell'altro ieri, specchio retrovisore della nostalgia, un film pieno di fantasmi, di tracce solo fintamente perdute, di sentimenti mai realmente rimossi: dove gli sguardi si inseguono fino a toccarsi, mentre le parole evaporano nella nebbia, tra l'amor perduto e quello ritrovato. Che il tempo passa, ma non invano: e dentro un abbraccio ce ne è sempre un altro. E un altro ancora. Nella sfocata, a volte dolorosa, memoria di qualcosa che rimane, che resta: come quella ragazza, sotto la neve, a cui forse non si è mai dato un nome. Ma un bacio sì.
Nove anni dopo <Dieci inverni>, Valerio Mieli torna alla regia per decifrare nuovamente con la sensibilità che gli appartiene i codici segreti di un amore che è memoria prima di essere domani, mettendo al centro del suo percorso il senso stesso del tempo, di un ricordo mai completamente condiviso perché, fatalmente, influenzato dal punto di vista, dalla soggettività di chi lo vive.
Un film (premio del pubblico alle Giornate degli autori di Venezia) ambizioso il suo (si pensa a Resnais ma anche a Malick), coraggioso nel distanziarsi in maniera netta dalla banalità narrativa di molto nostro cinema, che accarezza lo stare insieme, felice e impervio, altalenante e faticoso, di una lei solare e sorridente e di un lui cupo e depresso. Muovendosi tra le pieghe di quello che è stato, in un montaggio emotivo dove i continui cambi di tono e di corpo della fotografia dettano il flusso dei sentimenti e permettono al regista - con la complicità di Luca Marinelli, profondo e stratificato, e della sorprendente Linda Caridi - di interrogarsi sul meccanismo stesso (trappole comprese) della memoria.
Non immune da un certo intellettualismo che rischia, a tratti, di diventare maniera (vedi l'uso, sovrastante, della musica), Mieli dimostra però una sincera e originale vena poetica nel girare, in quel suo frugare nei cassetti socchiusi di stanze altrove abitate. Di case che una volta erano le nostre: e di sentimenti che forse lo sono ancora.