Pif e quei Momenti di trascurabile felicità
C'è della tenerezza e qualche emozione da poco: ma anche la voglia di imparare a perdonarsi, l'acqua da bere a collo, baci nella penombra, pieni di sonno. Chiamali, se vuoi, <Momenti di trascurabile felicità>: quelli a cui pensi ancora, ma mica tutti i giorni. Tra la bionda già ragazza che ti piaceva da bimbo, le donne del sabato sera che alla domenica mattina sembrano fuori posto, una figlia che non ti risponde (più) al telefono. Che ancora ti chiedi, dopo anni, se l'Autan e lo yoga possono coesistere: ma di sicuro hai capito che le centrifughe sono sopravvalutate. Sì, anche quelle allo zenzero...
E' un film di piccole cose – e non potrebbe essere altrimenti -, di sentimenti celati, aggrovigliati, di rimorsi tardivi, che si muove nel solco del tempo perso che forse perduto non è per davvero, quello che Daniele Luchetti, con la sensibilità che gli è propria, ha tratto da due libri di Francesco Piccolo, girando una commedia surreale di tangibile malinconia che conosce il peso e la misura dell'istante, dell'attimo.
La storia di Paolo, che passa col rosso e muore in un incidente: ma lassù si accorgono di avere commesso un errore. E lo rimandano sulla Terra: ma solo per 92 minuti, la durata del film...
Ricordi, bilanci, abbracci non più così banali: in una Palermo rassicurante, anche dolce, Luchetti pensa a <Il paradiso può attendere> seguendo tracce sparse di vita <normale>, lasciando che Pif (molto giusto per il ruolo) faccia i conti con sé. Il filo forse è esile, ma il tessuto è di pregio, il risultato curato: anche se la filosofia a volte è spicciola e la presenza del personaggio interpretato da Carpentieri (una sorta di angelo burocrate...) rallenta l'azione. Ma il tono, qualcosa tra il sorriso e il magone, è esatto e pieno di empatia: non sarà un film sconvolgente, ma non è nemmeno trascurabile.
Ella & John: la pazza gioia di chi il finale se lo scrive da sè
C'è tanta strada in questo film: davanti, ma soprattutto dietro. Nemmeno sempre asfaltata, a volte piena di buche profonde come segreti, altre di curve, cieche come abbracci dati ad occhi chiusi. E c'è un viaggio da fare. E sì, da qualche parte, dentro l'amarezza di giorni che stingono, c'è anche qualcosa che assomiglia alla gioia: pura, autentica, improvvisa. Anzi, pazza. Così come la <scandalosa> ribellione di chi il finale, se non vi dispiace, se lo scrive da solo: con buona pace di medici e figli, benpensanti e parolai.
Al primo film in lingua inglese della sua carriera, Paolo Virzì va alla scoperta di un'America minima, non turistica e tantomeno stereotipata, per raccontare l'ultimo giro in giostra di una coppia di anziani entrambi gravemente malati. Lui, il professore che forse tutti avrebbero voluto avere, ha l'Alzheimer, lei, lucidissima e coraggiosa, si sta spegnendo a causa di un tumore. Un giorno, senza dire niente a nessuno, salgono sul loro vecchio camper: destinazione la casa-museo di Hemingway a Key West...
Om the road agrodolce, crepuscolare, sentimentale, <Ella & John>, sequel ideale de <La pazza gioia>, è un film realizzato in maniera piuttosto convenzionale e a volte prudente, ma tenero e malinconico nel cogliere la romantica rivolta all'affronto di invecchiare di un uomo e di una donna che inseguono un'ultima occasione, un ultimo ricordo da potere, subito dopo, dimenticare.
Intima, sensibile, felice (come spesso accade nel cinema dell'autore toscano) nel mescolare toni e colori di segno anche opposto, la pellicola, che si appoggia - senza paura di schiacciarli - sulle spalle di due fenomeni come Helen Mirren (candidata per questo ruolo al Golden Globe) e Donald Sutherland, diretti da Virzì a viso aperto, senza farsi intimidire, rilegge il romanzo di Michael Zadoorian, che lo stesso regista - insieme a Francesca Archibugi (che nella Livorno di Virzì ha girato la serie <Romanzo famigliare>, attualmente in programmazione, con successo, su Rai Uno), Francesco Piccolo e Stephen Amidon -, ha adattato a una sensibilità propria, a un contesto culturale che gli era più congeniale.
Ritrovandosi così a celebrare non solo un viaggio <estremo> nell'America che si accingeva a eleggere Trump (big country che ha perso la poesia e che i due protagonisti non riconoscono più), ma, più di tutto, la storia di un grande amore. Che non accetta di essere oltraggiato dal tempo né di essere reso schiavo dalla malattia. E decide che nessuno può decidere per lui.