2022, Recensione Filiberto Molossi 2022, Recensione Filiberto Molossi

Il ritratto del Duca, la commedia british che non abbassa la testa

È una formula rodata, un piatto che nel menu non manca mai: è quella cosa lì, una ricetta della nonna dagli ingredienti mandati a memoria. La commedia british con venature sociali (da «Grazie signora Thatcher» a «Full Monty», ma gli esempi potrebbero essere altri mille) ormai fa genere a sé: se vuoi è un po’ sempre la stessa cosa, ma per lo più, proprio perché 2+2 fa abitualmente 4, funziona. E’ il caso anche de «Il ritratto del Duca», dove la classe operaia (ma stavolta quella degli anni ‘60) va di nuovo in Paradiso, seppure non passando dalla porta principale: una storia incredibile ma vera che tocca corde giuste, ci mette la simpatia ma non rinuncia a sfidare il sistema. Kempton, disoccupato 60enne con una grande propensione a perdere con facilità qualsiasi impiego, viene arrestato perché rifiuta di pagare il canone della tv. Uscito dopo qualche giorno dal carcere decide allora di trafugare dalla National Gallery il quadro di cui parlano tutti, un ritratto del Duca di Wellington dipinto da Goya. E’ sua intenzione restituirlo: ma solo se il governo escluderà dal pagamento del canone tv gli anziani e i veterani di guerra... Ultimo film, uscito postumo, di Roger Michell (lo stesso di «Notting Hill»), «Il ritratto del Duca» rievoca una clamorosa beffa allo Stato, regalando al pubblico un personaggio strepitoso, un idealista solo apparentemente cialtronesco, ma in realtà altruista e generoso, autodidatta della vita infastidito dalle ingiustizie e insofferente alle discriminazioni, nonché marito bugiardo, padre pieno di sensi di colpa e commediografo per diletto, prolifico ma inetto. Un eccentrico e moderno Robin Hood magari non particolarmente portato per il lavoro, ma dalla battuta pronta e dal grande spirito di iniziativa. Michell, che non disdegna nemmeno l’uso di qualche inserto d’epoca, è accurato nella ricostruzione, gestisce bene le dosi e utilizza col giusto garbo il sottotesto amaro dell’elaborazione del lutto. Trovando in uno strepitoso Jim Broadbent e in Helen Mirren versione working class (Kempton e sua moglie) due splendidi interpreti di una commedia che non abbassa la testa.

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2022, 2021, Festival, Recensione Filiberto Molossi 2022, 2021, Festival, Recensione Filiberto Molossi

Nowhere Special, un toccante viaggio segreto nei sentimenti

John guarda le vite degli altri: le osserva da dietro grandi finestre, attraverso i vetri che ogni giorno lava, pulisce, forse per rendere più chiara, più limpida, anche l'esistenza che scorre dall'altra parte. Là dove il tempo cammina a un'altra velocità, si misura in arrivederci e non ancora in addii, ha il privilegio del futuro, di case e cose che anche domani saranno ancora le stesse. Non è un film facile da fare «Nowhere Special»: perché sembra apparentemente che riguardi la morte. E invece parla, a ogni inquadratura, ad ogni silenzio, della vita: sì, vero, quella che resta, quella che rimane (e che andrà perduta in un ricordo destinato a diventare nebbia, come certi sogni all'alba), ma sopratutto quella, spettinata, di tutti i giorni, fatta di gesti, di parole, di mani che tengono altre mani. Storia di una giovane padre single che, malato terminale, dedica i suoi ultimi mesi di vita a cercare, con l'aiuto dei servizi sociali, una famiglia che possa adottare suo figlio di quattro anni, quello di Uberto Pasolini, già produttore di un successo planetario come «Full monty» e ora regista tra i più sensibili in circolazione (venite a conoscerlo domani sera al D'Azeglio, dove incontrerà il pubblico: non ve ne pentirete), è un film pudico e tenero, oltre che toccante: una pellicola che resta tra le righe, che si muove sottotraccia, delicata come una carezza, quando invece quella stessa vicenda, raccontata con altri occhi e altre parole, avrebbe potuto strapparti via. E invece. Invece, prevale la naturalezza, la bellezza - unica, sconvolgente, intatta - del rapporto tra padre e figlio, l'abbraccio di gente comune in una situazione che di comune non ha niente. Ispiratosi a una storia vera che ha letto su un giornale, Pasolini, dopo «Still Life», torna di nuovo a esplorare in punta di piedi il nostro confrontarci con la quotidianità della morte, ma se quello era soprattutto un film sulla solitudine «Nowhere Special» (in concorso a Orizzonti a Venezia 2020 e poi premio del pubblico a Valladolid, Varsavia e Pula) è, al contrario, un film di legami, di scambi, di reciproche (quel «casting», doloroso e paradossale, alla ricerca della famiglia «perfetta») conoscenze. Un viaggio segreto nei sentimenti al cui mood intimo ed essenziale contribuiscono in maniera decisiva i due bravissimi interpreti (il padre James Norton e il piccolo Daniel Lamont), forse troppo belli, ma di sicuro giusti, veri, perfetti.

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