Flow, quell'arca senza Noè è un capolavoro d'animazione
Alla fine avevano ragione i Nomadi: noi non ci saremo. Ed è meglio così, almeno in questo caso. Perché ci sono loro: gli animali. Che vivaddio finalmente anche in un film d'animazione fanno la cosa che gli riesce meglio: fanno gli animali. Non cantano, non ballano, non recitano le tabelline: sono «semplicemente» se stessi. Con esiti spesso, anche emotivamente, straordinari. Sembra la scoperta dell'acqua calda: e invece è la piccola rivoluzione di un ragazzo prodigio, il lettone Gints Zilbalodis, regista autodidatta del più bel film d'animazione dell'anno: «Flow». Che con disegno morbido e parole nessuna ci fa scivolare dentro a un'avventurosa favola sulla convivenza civile, sulla necessità di mettere da parte inutili e dannosi individualismi e di fare gruppo: perché se non l'avete ancora capito siamo tutti sulla stessa barca. E sarà meglio darsi una mano.
In un mondo sorpreso da una terribile inondazione, dove le acque invadono, e affogano, il creato, un gatto cerca di mettersi rocambolescamente in salvo salendo su un'imbarcazione: gli faranno compagnia, nel tentativo di sfuggire alla furia degli elementi, un labrador, un lumure, un capibara e una gru...
Recitato il requiem per l'antropocene e messo l'uomo (che si manifesta solo grazie alle sue opere, ai simulacri architettonici che l'acqua rende ricordo) fuori dall'inquadratura, «Flow» riflette in modo originale e innovativo sul cambiamento climatico, senza perdersi però nella retorica della denuncia, ma permettendo allo spettatore di partecipare empaticamente a quel viaggio fino alla fine del mondo: dove su un'arca di Noè senza Noè, alcuni animali soli, incolpevoli ed emarginati si fanno - guidati dal solo istinto di sopravvivenza - gruppo, squadra, «famiglia».
Tenero, affascinante, enormemente suggestivo, «Flow» (premiato come miglior film ad Annecy e candidato agli Efa, gli Oscar europei) è costellato di momenti immaginifici di grande resa non solo spettacolare, esaltati da un commento musicale molto aderente e adeguato e da un lavoro certosino sul sonoro.
Nelle terre emerse dell'aiuto reciproco, in una civiltà rimasta senza timone in cui il destino non può che essere comune, il 30enne Zilbalodis, vinta la scommessa di un'animazione felicemente (ed efficacemente) non antropomorfa, riflette in modo non scontato sul senso stesso di collettività: là dove solidarietà e condivisione sono sempre di più sentimenti non umani.