Fast color: la donna che aveva un terremoto dentro
«Non siamo supereroi, cerchiamo solo di cavarcela». In un mondo dal cuore arido dove non piove più da anni, divorato dalla siccità, condannato a morte, la storia della donna che si sentiva un oggetto difettoso e provò a riparare quello che sembrava rotto per sempre. Prima che le cose tornassero a essere semplicemente le cose: sperando che Dio le desse il coraggio per cambiarle. È uno sci-fi con l'aria indie (o viceversa), carpenteriano, politico, ambientalista, magnetico, traumatico, inizialmente aspro poi più dolce, come certi film low budget anni '70, «Fast color»: che potrebbe spacciarsi (e a volte forse, ingenuamente, la tentazione ce l'ha davvero) per il pilot di una serie a venire, ma preferisce essere il piccolo sisma, la frattura senza conto in banca, la faglia sottile eppure profonda di un genere - il supereroico - troppo (e spesso in maniera predeterminata) cool e «marvelioso» e, allo stesso tempo, troppo poco terreno, o spirituale. È un film dai gesti netti, risoluti, decisi, anche nel modo in cui spezza la perfezione innaturale di un uovo al tegamino, questo: che porta in canoni classici - la fuga, la diversità come malattia, il coming home, la ricerca di sè e del proprio posto nel mondo («quando ti dimentichi chi sei tutto torna normale»), il melò familiare, la dipendenza - un disagio, una «luccicanza», un segreto che ce lo fa apprezzare al di là dei limiti, delle ingenuità (il finale, che avrebbe meritato più mistero, certi personaggi, come quello del padre, poco a fuoco...), in un percorso che si rivela comunque personale, proprio. Un'America polverosa, un futuro che forse è già adesso: Ruth (Gugu Mbatha-Raw de «La ragazza del dipinto», brava), passato da tossica e alcolista, soffre di attacchi che sembrano epilettici, ma in realtà causano terremoti. Gli scienziati le danno la caccia, ma lei vuole solo tornare a casa: dove ha lasciato la madre. E una figlia. Opera seconda di Julia Hart (on demand già trovate la terza, «Stargirl»), «Fast color» è un film che aggiusta le cose a costo di rompere il cielo, nella suggestione, forte, di disfare per ricomporre, là dove la materia si sbriciola senza dolore e torna all'origine senza sforzo. Robe da donne, finalmente: grazie a una pellicola che sa essere sempre interessante nel modo in cui affronta la dimensione femminile, declinandola nel confronto di tre diverse generazioni. E a una regista che sa bene quale terremoto si nascondo dentro l'altra metà del cielo.