Corpo e anima: un mistero chiamato amore
E' l'incontro tra due <prodotti difettosi>, di quelli che difficilmente superano il controllo qualità della vita: solitudini assordanti abbandonate a se stesse, che hanno rinunciato (o nemmeno hanno mai iniziato) a mettersi in gioco. Un uomo e una donna smarriti nello stesso sogno: risvegliati dalla scoperta della possibilità (inaspettata) di un sentimento.
E' una storia d'amore insolita (e non solo per l'ambientazione), un film rischioso e sorprendente, singolare e sottotraccia, <Corpo e anima>: fatto di piccoli, invisibili gesti, di mezzi passi indietro, di televisori accesi davanti a cui addormentarsi, di sguardi rubati, di piatti da rimettere in frigo intatti, di canzoni riascoltate all'infinito. Cammina in equilibrio sul filo dell'irrazionale, l'Orso d'oro di Berlino: per scoprire, nella fredda e crudele routine del macello, dove si aspetta solo di morire, un mondo nascosto dove anche le cose inanimate hanno un valore, un senso, persino una grazia.
Lui, direttore finanziario di un mattatoio industriale, ha un braccio menomato e osserva la vita passare sotto la sua finestra; lei, un lungo passato in analisi, ha una memoria prodigiosa e una freddezza che mette a disagio: un giorno scoprono di fare ogni notte la stesso sogno... Il lavoro sulla messa a fuoco, l'uso geometrico della luce, le inquadrature perennemente <ostacolate> (da un vetro da una porta, da qualcosa che si intromette tra i protagonisti - quasi a difenderli - e lo sguardo dello spettatore): profondo a livello di concezione estetica, il film della 62enne ungherese Ildikò Enyedi sottrae sino all'essenza. Toccando con mano (grazie anche a due interpreti, la Borbély in particolare, ispiratissimi e perfettamente aderenti ai loro personaggi) l'immaterialità di un mistero chiamato amore.