Pieces of a woman: provare a sopravvivere
Prove di sopravvivenza. Di (dis)umana resistenza. Comunque, e sempre, dalla parte di lei: di una donna che ride, piange, muore, combatte, risorge. E che, semplicemente, avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente. E invece le «cose» non ascoltano nessuno: nemmeno loro, le donne. È un film appassionato (a volte fin troppo, considerato che lo stile del regista è sempre molto carico), il post-traumatico «Pieces of a woman», una delle cose migliori viste l'anno scorso alla Mostra del cinema di Venezia: la storia di una giovane donna che decide di fare nascere la bimba che aspetta tra le mura di casa. Ma il parto, con un’ostetrica che non conosce, si trasforma - durante un lunghissimo (23 incedibili minuti) e soffocante piano sequenza - in tragedia. Strettissimo sui volti, doloroso e quasi tutto in interni, il primo film in lingua inglese dell’ungherese Mundruczó (vincitore nel 2014 del Certain Regard di Cannes con «White God») che Martin Scorsese ha voluto produrre a tutti i costi, è una riflessione cruda e terribile sul sopravvivere, nella desolazione di uno strazio dove non ci sono risposte, ma solo rabbia, perdita, sgomento. Ma anche ricerca di sè, resilienza, voglia, infine, di silenzio, di pace. Checoviano, nella crudeltà silenziosa dei legami tra i vari personaggi, ognuno dei quali reagisce diversamente al dramma, violento nella scrittura eppure intimista nell’impianto, la pellicola, ricercata nel taglio e nell’inquadratura (dove spesso solo uno degli interpreti è a fuoco), trova ispirazione da un'esperienza simile vissuta dalla sceneggiatrice del film, Kata Wéber (all'epoca legata sentimentalmente al regista), che ha scritto il copione trasformandolo quasi in una personalissima terapia. Affrontando così un tema tabù - la perdita di un figlio - con un punto di vista femminile, lontano dai più morbidi e sentimentalistici cliché di molto cinema hollywoodiano. Se l'idea di cinema energico, molto partecipato, di Mundruczó aveva diviso a suo tempo la platea a Venezia, già allora aveva però messo tutti d’accordo l'ottima prova degli interpreti: a partire dall'intensa, sofferente e bravissima Vanessa Kirby (la principessa Margaret della serie cult «The Crown»), premiata in Laguna con la coppa Volpi per la migliore attrice, per arrivare a Shia LaBeouf (il marito), Sarah Snook di «Succession», fino a Ellen Burstyn (la madre della protagonista), classe ‘32, indimenticabile protagonista di «Alice non abita più qui», che piazza un monologo da brividi.