L’affido, dalla parte degli innocenti
Questo film ha un grande pregio: ti fa sentire in colpa. Ti costringe a fare i conti con la tua superficialita', coi tuoi pregiudizi, con la fretta e il semplicismo con cui giudichi situazioni complesse, sfaccettate, già ampiamente compromesse. Succede subito, all'inizio: quando per un attimo dubiti. Quando ti illudi che la ragione possa stare nel mezzo, quando invece, come spesso accade, e' da una parte sola: che forse quel bambino sia confuso, che forse quella donna esageri, che forse quell'uomo abbia i suoi diritti. E poi capisci: capisci - come sempre troppo tardi in casi come questi - che non ci possono essere vie di mezzo, tentennamenti, compromessi davanti al sospetto della violenza, al primo affacciarsi della prevaricazione, dell'ira, dell'ossessione.
Che <L'affido> sia invece un gran bel debutto (di quelli che in un anno si contano sulle dita di una mano) lo capisci per fortuna piuttosto presto: un film asciutto e traumatico, oltre che teso, l'opera prima, sentita e senza sbavature del francese Xavier Legrand che, ampliando e donando maggiore respiro a una storia che aveva già sviluppato anni prima in un acclamato cortometraggio (candidato anche agli Oscar), comunica con forza fastidio, ansia, imbarazzo e paura (quando non vero e proprio terrore) di un ragazzino davanti a un padre che non accetta la separazione dalla moglie.
L'affidamento congiunto, le liti, l'esplosione della rabbia e della violenza: un'escalation più scontata nella realtà (purtroppo) che sul grande schermo, dove invece Legrand mantiene (con un linguaggio a tratti convenzionale, ma volutamente pulito, realistico) sempre l'esatta misura, gestendo con grande attenzione sequenze nervose, spigolose (come quella, molto bella, della festa) e interpreti perfetti, duttili, anche fisicamente molto giusti.
Premiato all'ultima Mostra di Venezia con il Leone d'argento per la miglior regia (che il 39enne Legrand ritiro' lasciandosi andare in un pianto quasi irrefrenabile) e il riconoscimento per la migliore opera prima, <L'affido> e' uno spaccato molto doloroso e veritiero della fragilità consunta dell'istituzione famiglia e della rottura psicologica (e rinuncia etica) di chi non accetta la fine e il fallimento di una relazione, rispondendo con la sopraffazione alla propria incapacità di voltare pagina.
Un film necessario che costringe chi guarda ad aprire gli occhi su un mondo dove pagano sempre i più deboli. E gli innocenti.