2025, Recensione, Festival Filiberto Molossi 2025, Recensione, Festival Filiberto Molossi

Visse d'arte, visse d'amore: Maria, gli ultimi giorni della divina Callas

Si esibiva per la domestica, imbottendosi di psicofarmaci e costringendo il fedele maggiordomo a spostare continuamente un piano che nessuno suonava più. E sulle note struggenti della «Tosca», lei che davvero «visse d'arte, visse d'amore», inseguiva una voce irripetibile, smarrita negli anni, nelle ferite, nella fatica. Mentre la Callas stava svanendo e restava solo «Maria». E' bello sin dall'inizio - che poi è la fine, di una donna e di un'epoca - il nuovo film di Pablo Larrain, il grande regista cileno che racconta gli ultimi sette giorni della divina: con quel movimento d'ingresso lentissimo e tutto che accade - anzi è già accaduto - sullo sfondo.

Capitolo conclusivo della trilogia che ha dedicato alle grandi donne del secolo scorso - regine tristi prigioniere del loro stesso mito - l'autore, dopo Jackie Kennedy e Lady D, mette in scena l'ultimo atto dell'icona mondiale della lirica, usignolo che non volle mai lasciare la propria gabbia. E ne fa un personaggio tragico quanto le sfortunate eroine - Norma, Violetta, Madama Butterfly e tutte le altre - che interpretò, sul palcoscenico. Un'identificazione quasi commovente, perno di un film che accompagna una leggenda che amava essere adulata sul viale del tramonto, rielaborandone la storia, in modo assai più originale della media dei biopic, attraverso un'intervista immaginaria e momenti onirici che riportano improvvisamente l'artista, in quel momento lontana dalle scene già da oltre 4 anni, sotto i riflettori della sua fantasia.

Stilisticamente molto raffinato, elegante, capace di mescolare, complice un montaggio elaborato ma mai fine a se stesso, finto documentario, immagini di repertorio, bianco e nero e colore, flashback e sogno, cogliendo solitudine, grandezza e fragilità (dal rimpianto per Onassis a un'infanzia, crudele, in Grecia) di una donna osannata ovunque che morì, sola, ad appena 53 anni, «Maria» non è però solo il canto del cigno e l'uscita di scena di un'artista inimitabile, ma anche un film-opera sul significato (e sulla condanna) di essere diva, immortale tra i mortali, eppure vulnerabile e come loro soggetta alle offese del tempo, agli schiaffi del destino.

Vero fanatico della lirica, la sua grande passione insieme al cinema, Larrain, in un cast internazionale che conta anche i nostri Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher e Valeria Golino, regala il ruolo della vita ad Angelina Jolie (candidata al Golden Globe), intensa e sofferta nell'abbracciare il crepuscolo nelle quinte dell'amarezza: d'altra parte, «la felicità non ha mai prodotto una bella melodia».

Read More