Salve Macbeth, che sarai re: furia, sangue e Shakespeare
Del sangue e della furia: e delle ombre che agitano, come scorpioni velenosi, i pensieri. «Salve Macbeth, che sarai re». E’ un film pallido, feroce e senza sole, figurativamente potente - nel contrasto tra esterni e interni, totali e primi piani, come pure nelle sottolineature pittoriche delle panoramiche e nell’uso del colore in senso narrativo (la fotografia, splendida, è di Adam Arkapaw, lo stesso del primo «True detective») -, l’ennesima trasposizione della tragedia shakespeariana sul delirio del potere e dell’ambizione. Un classico tra i classici che ora l’australiano Justin Kurzel, visionario della prima ora, dipinge sullo schermo esaltandone il carattere dark e ostile (il freddo, come l’inospitalità degli ambienti, sono tangibili) per coglierne, restando fedele al testo, l’anima più cupa, ieratica e desolata. Un film livido e «spaventoso» (perché accecato dalla malvagità e affogato nella colpa) questo «Macbeth», interessante soprattutto da un punto di vista formale, meno entusiasmante invece da quello della rilettura di un testo già tradotto e adattato per il cinema (in modo più personale e definitivo) da giganti come Wells, Kurosawa e Polanski. Battuto dal vento, accompagnato da una colonna sonora (sin troppo insistita) stridente e minacciosa, il «Macbeth» di Kurzel usa molto bene gli spazi, cercando prima nella nebbia la paura sui volti dei soldati-ragazzi e poi virando in rosso, tra fumo e sangue, il duello finale: ne esce un film più affascinante che appassionante, potente però nello sguardo. E nelle interpretazioni di una coppia di star – Michael Fassbender e Marion Cotillard – che portano con sé sgomento, rabbia e lacrime della dannazione.