Serenity: Brivido caldo incontra il Truman show. E a me viene il mal di mare
Il brivido è caldo, ma il thriller assai moscio. Che poi io posso anche capire che ci sia gente che paga il biglietto per guardare da vicino il fondoschiena che Matthew McConaughey – 50 anni (quasi) e (beato lui) non sentirli - mostra con grande generosità urbi et orbi. Ma che tu sia lì, a metà luglio, a vedere un film che comincia che sembra <Il postino suona sempre due volte> e prosegue che pare <Nirvana> (ma da bo?) ti fa venire almeno un paio di dubbi: il primo che potevi impiegare meglio la serata, il secondo che non solo il protagonista, ma anche il regista (e sceneggiatore, ahi) abbia esagerato col rum. E se permettete un po' ci resto: perché dietro la macchina da presa c'è pur sempre quel Steven Knight che ha scritto <La promessa dell'assassino> e che sei anni fa aveva girato un film-gioiello come <Locke>, interamente ambientato in un'auto. Qui invece prende il largo e si capisce già dal primo drone che qualcosa andrà storto, che ci sarà burrasca. O, peggio, bonaccia.
Bizzarro e improbabile mix tra un noir (che poi è come il film viene venduto attraverso il trailer) con dark lady d'ordinanza (Anne Hathaway versione biondo platino) e riflessione pseudo soprannaturale sul dolore dell'assenza (con vago ma non troppo invito a farsi giustizia da sé) e sulle domande assolute di un'umanità alla deriva (chi siamo? Da dove veniamo?), <Serenity> (che in patria è stato un flop) è l'incontro bislacco tra <La fiamma del peccato> e <Truman show>: capite da soli che non poteva funzionare.
Nell'isola che non c'è, dove tutti sanno tutto di tutti, un novello Achab, lupo di mare con barba perennemente da fare, pochi sorrisi e parecchi bicchieri in cui affogare i ricordi, riceve la visita della seducente ex moglie che gli propone un affare: uccidere il suo attuale marito, ricco e violento, e scappare con 10 milioni di dollari in contanti...
Inizialmente cinefilo ma poco originale, <Serenity> ci fa molto dentro sin da subito, calca la mano in modo insopportabile, specie nella caratterizzazione dei personaggi, mostra insomma – e sicuramente troppo – il ghigno. Difetti grossolani che sono nulla però davanti all'improvvisa svolta (in parte annunciata), il poco calibrato twist, che trasforma il film in altro da sé, provando a scandagliare acque più profonde, in una connessione che da carnale si fa spirituale. Nel cambio di rotta Knight non si priva di nulla – dalla tiritera sui reduci all'impotenza di chi è vittima di regole dettate da altri fino al balbettante discorso sulla genitorialità – finendo però nella stessa rete che aveva preparato per i suoi <pesci>. Lasciando il rimpianto di non potere incontrare un personaggio che il protagonista viene costantemente invitato ad andare a trovare: il dottor Bob, un analista che forse farebbe meglio a vedere anche il regista. E sicuramente noi, usciti dalla sala in preda a un discreto mal di mare.