Paradise, il tribunale del limbo e della memoria
L'amico ritrovato: nei giorni della memoria, si affaccia nelle sale un film che credevamo perduto. A più di un anno dal Leone d'argento vinto a Venezia (con cui ha bissato quello ottenuto nel 2014 con il poetico <Le notti bianche di un postino>), l'80enne maestro russo Andrej Konchalovsky ci porta per mano nell'immaginario tribunale del limbo, dove la banalità del male (e del bene) espone le sue ragioni, senza cercare, tra barlumi, improvvisi, di coscienza, giustificazioni. Un film in 4/3 scritto e montato benissimo, girato in un bianco e nero di grande profondità, con cui il grande autore riflette, in modo sorprendente, sulla natura umana.
Durante la seconda guerra mondiale le vicende, destinate a incrociarsi, di un collaborazionista francese, del comandante tedesco di un campo di concentramento e di un'aristocratica russa che milita nella resistenza, arrestata dal primo e prigioniera del secondo...
La catena di montaggio dell'orrore, i rapporti di forza, i fantasmi che tormentano chi un giorno studiava Cechov e quello dopo progettava lo sterminio: tre confessioni piene di gesti abituali e slanci improvvisi, inferni in terra e paradisi illusori. Una spina conficcata nel fianco molle di ieri che fa male anche al tormentato e incerto oggi: perché solo il sacrificio estremo sembra potere sconfiggere la retorica dell'odio.