C'era una volta in Bhutan, la favola della democrazia
«Se non dobbiamo lottare per avere questi cambiamenti forse non ci servono davvero».
E’ un piccolo film educativo, ironico e affettuoso, che ha il senso del paradosso e quello della misura, l’opera seconda di Pawo Choyning Dorji, già autore del premiatissimo «Lunana» che ora ci racconta la «favola» di un Paese che ha scoperto Internet e la tv solo nel 2006, non ha mai visto un’arma dal vivo e chiama la Coca-Cola l’«acqua nera». E ora si ritrova improvvisamente alle prese con l’invenzione più indecifrabile dell’uomo: la democrazia.,
Dicono sia la nazione più felice del mondo, ma 18 anni fa sussultò nel terremoto della modernizzazione: il re abdica, urgono le elezioni. «Ele» cosa? Tocca istruire il popolo, villaggio per villaggio. Ma intanto anche il Lama, la massima autorità religiosa, è preoccupato: e chiede a un monaco di procurargli due fucili...
Nell’arrivo inaspettato di una nuova era, la difficoltà di gestire (e catturare) il cambiamento da parte di un’oasi pacifica costretta suo malgrado a imparare il conflitto: che va bene il televisore «nuovo», ma è sempre meglio farlo benedire... Curioso, semplice, corale, «C’era una volta in Bhutan» (premio speciale alla Festa del cinema di Roma) è una favola politica sul segreto della felicità e sul diritto alla stessa. Una satira gentile sulla perdita dell’innocenza: perché il vero vincitore non è chi trionfa alle urne, ma chi sopravvive meglio alla globalizzazione.