A Ciambra, il cinema nomade diventa grande
Li ha conosciuti dopo il furto di una Panda su cui aveva lasciato tutta l'attrezzatura della troupe: un altro avrebbe fatto denuncia, lui, invece, ci ha fatto un film. Portandoli tutti prima sullo schermo e poi sul palco del Festival di Cannes. E' originale, inedito e coraggioso sin dal progetto <A Ciambra>, opera seconda del 33enne Jonas Carpignano, cresciuto a New York da padre italiano, che gira, in dialetto strettissimo (in un coacervo linguistico sporcato da mille inflessioni) un film sincero, diretto e senza pregiudizi sugli Amato, grande famiglia della comunità rom di Gioia Tauro, in Calabria. Un cinema invisibile ai radar, nomade come e più dei suoi (ormai stanziali) protagonisti: sempre in movimento, in marcia, sempre sulla strada (unica vera maestra di vita), nella babele un'Italia che non finisce in copertina, dove i rom interpretano se stessi, affrancandosi però da una facile tentazione documentaristica, per aderire invece, con la massima disponibilità, a un modello narrativo che li include, là dove la società civile (<ricorda, siamo noi contro il mondo>) di solito invece li rifiuta e li respinge a priori.
Americano solo per studi e passaporto, ma estremamente europeo in quello sguardo che si porta dietro la lezione non dispersa del neorealismo (il pedinamento zavattiniano, quel cavallo onirico che pare uscito da <Sciuscià>...), l'onestà e la sensibilità truffautiana e certe inquadrature alla Dardenne (e alla Audiard), Carpignano rispolvera un suo corto e gli dà dignità di lungometraggio raccontando il romanzo di formazione (e l'educazione criminale) di Pio, 14enne rom (timidissimo nella realtà) che ha fretta di diventare grande. Non sa né leggere né scrivere, ma fuma, beve e guida pure la macchina. Ha più paura di chiedere il numero a una ragazza che di rubare: vive di piccoli furti e ricettazione, ma è terrorizzato dagli spazi chiusi e spaventato dalla velocità dei treni. Quando il padre e il fratello vengono arrestati, dovrà decidere se e come diventare un uomo...
Spaccato, anche esistenziale, di un mondo <altro> dove, in una sorta di integrazione non dichiarata (che è reale per Pio ma non per altri), convivono rom, calabresi, immigrati africani e la 'ndrangheta, <A Ciambra>, premiato alla <Quinzaine des réalisateurs>, è un film fisico, periferico, ruvido, vitale: una pellicola di confine (tra infanzia e età adulta, famiglia vera e di fatto) che ha conquistato sin dal primo montaggio persino Martin Scorsese, che l'ha voluta produrre. Colpito probabilmente dalla franchezza delle intenzioni di un regista che rifiuta il buonismo e va incontro alla realtà senza pensare di essere di diritto di giudicarla.