Recensione, 2018 Filiberto Molossi Recensione, 2018 Filiberto Molossi

La regia fenomenale di Widows: “Piangere non è nella lista”

Ci sono due sequenze. No, in realtà ce ne sono molte di più. Ma ci sono due sequenze, proprio quelle due: una del rapper che, circondato e minacciato, canta mentre la cinepresa, come in un tesissimo derviscio, disegna cerchi sullo schermo; l'altra dove un'auto viene inquadrata a lungo in primo piano, mentre la voce off dei protagonisti  si sparge nella città, curva per le strade, si infila negli anfratti. Ecco, se vogliamo parlare di cinema – di cos'è davvero il cinema – bisogna partire da qui: da quelle due sequenze. Che sono la testimonianza diretta e incontrovertibile del talento (grande e largo) di Steve McQueen: della sua moralità nel girare, del suo rigore sinfonico, quasi scorsesiano, nell'affrontare (e traslare) ogni scena.

Trama improbabilissima e regia fenomenale, questo <Widows>, altra tappa imprescindibile della parabola del 49enne regista inglese: che,  partito dieci anni fa con un film durissimo e disturbante (<Hunger>), si avvicina lentamente (dopo il coraggioso <Shame> e la tappa da Oscar di <12 anni schiavo>) al cinema mainstream e di genere, di cui però riscrivere le regole, sabotandole quando necessario. E' così che, da una serie anni '80, nasce un crime in latex, metallico e notturno, un heist movie corrotto declinato sfrontatamente (si vede la mano sul copione di Gillian Flynn, la sceneggiatrice de <L'amore bugiardo> e della serie cult <Sharp objects>) al femminile: un film che si porta tatuato il marchio di un destino a cui non si può sfuggire, tra illusioni e soldi sporchi, proiettili e promesse non mantenute.

Una banda di rapinatori salta per aria dopo uno scontro a fuoco con la polizia: alle vedove non restano che le lacrime. E un grosso debito con un boss della malavita sedotto dalla politica. Se non vogliono fare la fine dei mariti, dovranno allearsi e organizzare un colpo clamoroso per seppellire, una volta per tutte, il passato...

Molto sicuro di sé, forte di una proprietà di linguaggio che si porta dietro una  sofferenza, un tarlo, un dolore, McQueen  nel mondo degli uomini dove anche i morti tornano dall'inferno ribalta la scena del crimine e mette al centro dell'inquadratura, prendendole dallo sfondo in cui di solito vengono relegate, un pugno di donne: sole, disperate, impreparate. Eppure pronte a tutto pur di salvare la pelle propria e il futuro dei loro figli. Girl power all'ennesima, ma senza le banalità del caso, senza proclami: piuttosto, vittime che vogliono smettere di esserlo, unite dalla necessità in nome di un'improcrastinabile sorellanza.

Spinto subito sul montaggio alternato, con un ritmo dettato dall'urgenza, <Widows> è un esempio perfetto di cinema d'autore pensato per il grande pubblico: merito anche dell'affiatato gruppo di interpreti, intense ognuna a modo suo. E se la francese d'Australia Elizabeth Debicki è la sorpresa, è la capobanda Viola Davis a fare la differenza. Una che sta per perdere tutto, ma alle complici dice: <Abbiamo un sacco da fare: piangere non è nella lista>.

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2016, Festival, Recensione Filiberto Molossi 2016, Festival, Recensione Filiberto Molossi

I magnifici 7 concedono il bis

Non cominciamo: che lo so pure io che uno come Steve McQueen mica nasce più. E che a Yul Brynner il nero donava. Ma se la mettiamo sul paragone con l'unico e vero originale non la finiamo più.

Vi basti sapere che loro sono sempre 7: i remake però, tra parodie un po' insulse e trasposizioni spaziali, forse anche di più. Ma questo dalla sua ha belle facce da schiaffi, un'ironia tagliente da sbruffoni e canaglie, lo sguardo spavaldo di un regista che da bambino, c'è da scommetterci, girava per casa col cinturone e le pistole giocattolo.

Hollywood mette di nuovo in sella <I magnifici 7>. Più che un rifacimento fedele dell'ormai mitico film del '60, a sua volta già remake di un bellissimo film di Akira Kurosawa (<I sette samurai>), l'ultimo lavoro del virile Antoine Fuqua, fautore di un cinema ad alto tasso di testosterone (<Training day>, <Attacco al potere>) è un western (dopo molte, e non sempre riuscite, divagazioni sul genere), bello tosto, un classicone certo, anche stilisticamente già visto, ma efficace pure nel suo restare fermo nella volontà di non cambiare i connotati alla leggenda, riproponendola anzi con rinnovata verve, con ritrovata energia. Roba da duri, insomma, da uomini veri, senza eccedere in sfumature, ma con la mano sempre sulla fondina e gli occhi fissi all'orizzonte, per ribadire, tra idealismo e vendetta, che anche nel 2016 c'è posto per film così.

Un luciferino prepotente, proprietario di diverse miniere, vuole sbarazzarsi con due soldi degli abitanti di un villaggio: chi si ribella viene ucciso senza complimenti. Una donna, dopo l'omicidio a sangue freddo del marito, ingaggia allora un cacciatore di taglie dalla mira infallibile: a lui il compito di trovare un manipolo di (anti)eroi che difendano la città...

Western multietnico (c'è il nero, l'orientale, il pellerossa, il messicano...) dal grilletto facile, l'ultima versione de <I magnifici 7> è un film alla vecchia maniera, di quelli di una volta: bella personalità, dialoghi appuntiti (uno degli sceneggiatori, Pizzolatto, è il creatore di <True detective>), pochi convenevoli. Prologo, reclutamento, esercitazione e battaglia: tutta protesa alla clamorosa sparatoria finale, la pellicola è sì old fashion ma, complice un montaggio di grandissima presenza, non materia per soli nostalgici. Fuqua fa bene i compiti, mette diligentemente i puntini sulle i, diverte e non tradisce: il resto, con un cast mosso e amalgamato (tra i 7, guidati da Denzel Washington, quello che più risalta è il baro strafottente Chris Pratt), viene praticamente da sè. Per la felicità anche degli appassionati (mai rassegnati davvero alla sua scomparsa) del genere: che qui forse si sentiranno nuovamente coccolati.

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