La regia fenomenale di Widows: “Piangere non è nella lista”
Ci sono due sequenze. No, in realtà ce ne sono molte di più. Ma ci sono due sequenze, proprio quelle due: una del rapper che, circondato e minacciato, canta mentre la cinepresa, come in un tesissimo derviscio, disegna cerchi sullo schermo; l'altra dove un'auto viene inquadrata a lungo in primo piano, mentre la voce off dei protagonisti si sparge nella città, curva per le strade, si infila negli anfratti. Ecco, se vogliamo parlare di cinema – di cos'è davvero il cinema – bisogna partire da qui: da quelle due sequenze. Che sono la testimonianza diretta e incontrovertibile del talento (grande e largo) di Steve McQueen: della sua moralità nel girare, del suo rigore sinfonico, quasi scorsesiano, nell'affrontare (e traslare) ogni scena.
Trama improbabilissima e regia fenomenale, questo <Widows>, altra tappa imprescindibile della parabola del 49enne regista inglese: che, partito dieci anni fa con un film durissimo e disturbante (<Hunger>), si avvicina lentamente (dopo il coraggioso <Shame> e la tappa da Oscar di <12 anni schiavo>) al cinema mainstream e di genere, di cui però riscrivere le regole, sabotandole quando necessario. E' così che, da una serie anni '80, nasce un crime in latex, metallico e notturno, un heist movie corrotto declinato sfrontatamente (si vede la mano sul copione di Gillian Flynn, la sceneggiatrice de <L'amore bugiardo> e della serie cult <Sharp objects>) al femminile: un film che si porta tatuato il marchio di un destino a cui non si può sfuggire, tra illusioni e soldi sporchi, proiettili e promesse non mantenute.
Una banda di rapinatori salta per aria dopo uno scontro a fuoco con la polizia: alle vedove non restano che le lacrime. E un grosso debito con un boss della malavita sedotto dalla politica. Se non vogliono fare la fine dei mariti, dovranno allearsi e organizzare un colpo clamoroso per seppellire, una volta per tutte, il passato...
Molto sicuro di sé, forte di una proprietà di linguaggio che si porta dietro una sofferenza, un tarlo, un dolore, McQueen nel mondo degli uomini dove anche i morti tornano dall'inferno ribalta la scena del crimine e mette al centro dell'inquadratura, prendendole dallo sfondo in cui di solito vengono relegate, un pugno di donne: sole, disperate, impreparate. Eppure pronte a tutto pur di salvare la pelle propria e il futuro dei loro figli. Girl power all'ennesima, ma senza le banalità del caso, senza proclami: piuttosto, vittime che vogliono smettere di esserlo, unite dalla necessità in nome di un'improcrastinabile sorellanza.
Spinto subito sul montaggio alternato, con un ritmo dettato dall'urgenza, <Widows> è un esempio perfetto di cinema d'autore pensato per il grande pubblico: merito anche dell'affiatato gruppo di interpreti, intense ognuna a modo suo. E se la francese d'Australia Elizabeth Debicki è la sorpresa, è la capobanda Viola Davis a fare la differenza. Una che sta per perdere tutto, ma alle complici dice: <Abbiamo un sacco da fare: piangere non è nella lista>.