Adagio: balordi, reduci e fantasmi. La Roma criminale di Sollima
Si regge da solo sulle gambe e tiene botta ma non fa quel passetto in più. «Adagio» dell'italiano Stefano Sollima che chiude la trilogia (iniziata con «Acab» e proseguita soprattutto con «Suburra») di Roma criminale, girando un film di reduci dove tira un po' un'aria da ultima partita, di tempi supplementari.
In una capitale-babilonia rovente, divorata dalle fiamme e dal caos, madre e matrigna sempre sull'orlo della fine del mondo, un film notturno e maledetto che segue le orme incerte di Manuel, un sedicenne ricattato da tre carabinieri corrotti: vittima sacrificale di un gioco più grande di lui, il ragazzo per salvarsi proverà a rivolgersi a due ex malavitosi, amici dell'anziano padre che ormai (ma è davvero così?) perde colpi...
Thriller sudato pieno di fantasmi e di balordi all'ultimo stadio, comparse a mano armata di una Roma, incancrenita e venduta, colta in un black out morale, «Adagio» ci mette un po' a carburare, ma poi, sulle note dei Subsonica, va in cerca (con Toni Servillo, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea, Francesco Di Leva e un irriconoscibile Pierfrancesco Favino) di una redenzione impossibile, inseguendo tra sparatorie in stazione (bella e concitata la sequenza della resa dei conti) e cul de sac un altro giro in giostra.
Come spesso in Sollima i personaggi (antieroi declinanti sul viale del tramonto) sono più interessanti della storia e di una dimensione narrativa ma anche estetica un po' stravista: ma mentre Roma brucia c'è ancora tempo per vivere e morire.