La forma dell’acqua: chi è differente fa la differenza
Sta dalla parte di chi si sente (o magari è) fuori dal mondo, dei pesci fuor d'acqua, dei rifiutati sempre e comunque estranei al protocollo: di chi è differente. Che poi, spesso, è l'unico modo per farla davvero la differenza. Sta dalla parte giusta, insomma, Guillermo Del Toro, regista messicano visionario che dopo avere vinto il Leone d'oro all'ultima Mostra del cinema di Venezia (dove tornerà l'anno prossimo per presiedere la giuria), punta ora all'Oscar (13 le nomination) con la favola per adulti <La forma dell'acqua>, immaginifica love story impossibile ma non troppo tra una ragazza muta e un mostro marino umanoide.
Un film dal cuore vintage (ma proteso anche verso l'attualità) sulla forza dell'amore e sul rispetto dell'altrui identità e natura (in fondo chi può dare una forma all'acqua?), dove l'estetica di Jeunet (e di <Amelie>) incontra lo spirito di <E.T.> e il Tim Burton di <Edward mani di forbice>, sposando un romanticismo che gronda cinefilia (oltremodo chiaro l'omaggio a <Il mostro della laguna nera> e alla gloriosa epoca dei b-movies: bellissima in questo senso la sequenza ambientata in una sala cinematografica) senza rinunciare a un sottotesto (che segnava già in maniera potente <Il labirinto del fauno>) politico.
Nei primi anni '60, quelli di Kennedy e della guerra fredda, della tv in bianco e nero, dei filmoni biblici e dei musical, Elisa lavora come addetta alle pulizie in una base militare americana dove è prigioniera un'impressionante creatura anfibia. Per alcune tribù del Sudamerica è un dio dotato di poteri sovrannaturali: ma americani e spie russe vogliono solo capire come e se gli può essere utile. L'unica che sembra comprenderne e condividerne l'angoscia è proprio Elisa: che, segretamente, stabilisce con l'uomo-pesce un contatto.
Stilisticamente suggestivo (ricchissimo e molto ispirato il lavoro della scenografia su ambienti e arredi che danno al film non solo un abito ma un tono), raffinato nelle non scontate scelte musicali, <La forma dell'acqua>, già vincitore di due Golden Globes (per Del Toro, miglior regista, e per la colonna sonora dello specialista Desplat) propone in maniera non del tutto inedita l'incontro col mostro (che siamo noi...), ma va oltre l'amore interrazziale (che sarebbe stata la metafora giusta per gli spettatori dell'epoca in cui è ambientato il film) per toccare altri nervi scoperti (la politica americana contro gli immigrati, ad esempio) e richiamare a un maggiore impegno (<se noi non facciamo niente, non siamo niente>) chi sta seduto a guardare. Peccato solo che la trama tenda al prevedibile e il cattivo sfoci nel fanatismo: ma il volto irregolare e senza voce di una strepitosa Sally Hawkins rende tutto meno scontato. E, soprattutto, possibile.