Adesso è adesso: i Perfect days di Wenders
Ascolta musica americana nelle vecchie cassette, usa ancora una macchina fotografica col rullino, legge libri che compra in edizione economica, va in bicicletta, non ha la tv né la lavatrice e fa sogni in bianco e nero. E nonostante tutto trova modo e tempo di accennare un sorriso, anche quando magari gli scappa la lacrimuccia. E' analogico e vintage, con quel 4/3 che racchiude nello schermo un piccolo mondo, l'ultimo, poetico, film di Wim Wenders, bella sorpresa, perché inaspettata e imprevista, di un amico ritrovato, cineasta mito dai '70 ai '90, poi, a parte alcuni bellissimi documentari, smarrito al grande cinema.
Che invece qui, tornato in Giappone a quasi 40 anni da «Tokyo Ga», in una città che lo affascina da sempre, schiaccia play ogni mattina all’alba su «The House of the Rising Sun» degli Animals per raccontare i «Perfect days» di un meraviglioso antieroe, un addetto alle pulizie dei bagni pubblici. La sveglia all'alba, il lavoro umile svolto senza mai lamentarsi, la pausa pranzo al parco, il bar. Un uomo solo, ma non disperato, attento ai dettagli, alle piccole cose e allergico ai grandi discorsi. Tanto che Wenders, tra Lou Reed e Janis Joplin, spende più canzoni che parole (il primo dialogo è dopo 12 minuti), trovando sin da subito però la cifra e la delicatezza giusta, giocando tutto sulle lievi increspature di una routine solo apparentemente banale, fessure e crepe dove si fa largo la luce, in un lento svelamento del suo protagonista, interpretato dallo strepitoso Kôji Yakusho, Palma d'oro per il miglior attore all'ultimo Festival di Cannes.
Un film gentile, «Perfect days», zavattiniano, con tocchi alla Jarmusch e alla Kaurismaki, tenero e malinconico. Un piccolo grande film sull'essenziale: un'ode alla semplicità, ma anche alla grande dignità di chi, tagliati i ponti col passato, continua a guardare un presente che cerca di rendere più pulito, più lindo (e più vero) con innocente ottimismo. Forse perché sa che «adesso è adesso».