Truth, il cinegiornalismo e la lezione della verità
<Se smetti di fare domande a perdere è il popolo>.
Nel mondo dove la verità non interessa più a nessuno, una bella lezione etica che cammina sulla corda tesa del dubbio: tra dovere di cronaca e responsabilità della notizia, l'amara - e scomoda - riflessione sociale e politica di un cinema che non mette il salvagente per nuotare nell'acqua più torbida. E' un film spigoloso e per nulla scontato, <Truth>, solido debutto con cui l'americano James Vanderbilt rievoca, conservandone la carica detonante, lo scoop sensazionale (e rovinoso) che segnò per sempre la vita di Mary Mapes e Dan Rather - lui icona vivente del giornalismo televisivo, lei battagliera cronista - che rivelarono che George W. Bush si era <imboscato> durante la guerra del Vietnam.
Comincia come un film d'inchiesta alla vecchia maniera, si traveste da thriller finendo poi col trasformarsi in una pellicola (quasi da tragedia shakespeariana) sulla caduta (degli dei?), <Truth-Il prezzo della verità> che, pur sposando il punto di vista della protagonista (interpretata da un'ottima Cate Blanchett), ha il grande merito di esaltare l'ambiguità di una vicenda in chiaroscuro in cui alla manipolazione dei media da parte di un potere che per definizione non ama essere contraddetto fa da contraltare l'uso e abuso delle fonti quanto certa leggerezza nella ricerca (<obbligata> oltre che ostinata) dello scoop.
Scritta meglio di come sia girata, la pellicola si accontenta di un'estetica ben più convenzionale (e prudente) rispetto alla posta in gioco, contribuendo però al rilancio (vedi anche <Il caso Spotlight>, baciato dall'Oscar) di un cine-giornalismo vagamente liberal (la presenza di Robert Redford nella parte di Rather non è certo casuale) che si rifà agli anni '70, senza però portarsene dietro la retorica.