I tre giorni di Roma, l'amarcord di Cuaron con vista sull'Oscar
E' un film affettuoso e riconoscente, la storia di due donne (e di un sé bambino) vista con occhi altri, adulti, il commovente amarcord di un autore che in un luminoso, bellissimo, bianco e nero digitale, inverte la freccia del tempo e torna, dopo Hollywood e dopo l'Oscar, a casa. In Messico, nell'appartamento - ricreato identico al suo ricordo piastrella per piastrella - dove Alfonso Cuaron ha trascorso la sua infanzia. Arriva anche a Parma, su grande schermo, seppure solo per tre giorni (lunedì, martedì e mercoledì al D'Azeglio), <Roma>, il Leone d'oro di Venezia, la magnifica epopea intimista con cui il grande regista di <Gravity> dice grazie alle donne della sua vita: la tata che lo ha cresciuto e la madre. Divise dai ruoli e dalle classi sociali: ma improvvisamente unite nella stessa solitudine, nel medesimo smarrimento.
Un film struggente, pieno di sentimento, di un'amarezza che però non sovrasta la speranza (di un altro inizio, di un'altra vita), quello di Cuaron: la storia minima ma complessa – all'alba degli anni '70 - della sua famiglia (il padre, un medico, molla moglie e quattro figli e scappa con un'altra donna) all'incrocio con quella, drammatica (i paramilitari che massacrano i manifestanti del movimento studentesco...), del suo Paese. Un affresco intimista, al femminile, dove Cuaron si fa in 4 (regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore...) per tracciare, privilegiando piani sequenza emotivi, un suo personalissimo ricordo dove il processo della memoria aiuta anche a comprendere meglio il presente.
Visivamente meraviglioso sin dalla sequenza dei titoli di testa (con quello straccio che si posa instancabile sul pavimento a quadri), <Roma> (niente a che vedere con la nostra capitale: è il nome del quartiere in cui l'autore abitava a Città del Messico) – dato già tra i grandi favoriti dell'Oscar 2019 – ha molte cose bellissime e crudeli (la scena del parto, quella del bagno nell'oceano...), fino al confronto, commosso, tra la bambinaia (strepitosa l'interpretazione di Yalitza Aparicio, maestra di scuola che non aveva mai recitato prima) e la madre di famiglia, entrambe abbandonate dagli uomini che amavano, eppure capaci di essere più forti del destino.