Hunger games: l'ultimo atto di una saga più adult che young
Lo hanno girato anche a Parigi, hanno sparato e sono morti per finta in quelle strade dove poi, altri, solo sette giorni fa, hanno sparato e sono morti davvero. Fai fatica a non pensarci quando senti la prima raffica di mitra e nella doppiezza schizofrenica del cinema qualcuno pronuncia una frase che sembra uscita dal tg: «Vogliono distruggere il nostro modo di vivere». Solo che a dirlo stavolta e' il tiranno, il carnefice... Per quanto prima fosse feroce e crudele, d'ora in poi non e' più un gioco: non e' tempo di buoni e cattivi in «Hunger games», la saga fantasy, più adult che young, arrivata al finale di partita. Altri profughi, altri treni, altri civili uccisi: amaro e dolente, cinico e cupo come solo petrolio (protagonista di una delle scene più spettacolari) sa essere, l'ultimo atto del fenomeno cinematografico tratto dai romanzi di Suzanne Collins si porta dietro lo choc post traumatico di una guerra che e' sempre. E lascia ferite, cicatrici, intossica le coscienze, fa vacillare un già incerto sé. Uno scontro senza regole (tantomeno quelle etiche) dove Katniss, costretta suo malgrado a indossare i panni del simbolo, si batte per rovesciare finalmente il dittatore: rischiando di rimanere intrappolata nel gorgo lurido del potere. Pedina di uno spettacolo kitsch e sanguinario di cui adesso vuole riscrivere il copione.
Da eroina fantasy a personaggio tragico, la parabola della ghiandaia imitatrice votata al martirio (che ha dato popolarità mondiale a Jennifer Lawrence, una che, a 25 anni appena, ha dimostrato di sapere fare qualunque altra cosa, vincere un Oscar compreso) è completa: e se l'epilogo risulta un po' posticcio e alcune dinamiche della sfera privata avrebbero potuto essere sviluppate con maggiore finezza, il sipario cala comunque con una violenza e una presa di coscienza che superano con maturità le logiche e i tranelli del kolossal per teenager.
Efficace compromesso tra war movie, catastrofico e fantascienza antitotalitarista, il film di Francis Lawrence sposa il cinema di guerriglia facendo di questo quarto «Hunger games» un combat movie, a tratti circolare altre più labirintico e sotterraneo, attraversato dal senso di colpa, sfinito dagli eventi, segnato dai dubbi. Non conta tanto il coraggio, né il sacrificio: quanto l'affannosa ricerca di un angolo di pace dove sopravvivere agli incubi. E fare riposare anche chi (anche nella realtà, come Philip Seymour Hoffman, che qui spegne l'ultimo sorriso) è caduto lungo la strada.