Magari, ritratto di famiglia con bassotto
L'età della scoperta, il crescere smozzicato e «un motivo che scricchiola in mezzo ai denti»: ritratto di famiglia con bassotto, virato al colore delle fotografie ingiallite, quelle che avevi dimenticato anche che esistessero e poi un giorno saltano fuori da un cassetto che non pensavi avresti mai più riaperto. C'è un po' del cinema di Valeria Bruni Tedeschi, «Sarà perché ti amo» e più di qualcosa di sè in «Magari», debutto semiautobiografico di Ginevra Elkann (sorella minore - togliamoci il dente subito - di John e Lapo), autrice sensibile che prende per mano il ricordo di un'infanzia sradicata, con troppi padri (che è come non averne nessuno), scombinata senza colpa (che è un attimo che ti ritrovi al mare con i Moon Boot ai piedi) per rimettere al centro di tutto chi di solito viene lasciato ai margini, i ragazzini. Ancora i bambini protagonisti - come in «Favolacce» (la cui contemporaneità dell'uscita non favorisce la 40enne regista) - nel cinema italiano, qualcosa di più di una semplice coincidenza: come se solo loro, e non noi, fossero in grado di raccontare con la necessaria onestà l'altro mondo, quello degli adulti, nella maggior parte dei casi (e pure con il beneficio del dubbio) caotici, cialtroni, vigliacchi, volubili, immaturi. Alma (sguardo e voce del film che ha inaugurato l'anno scorso il Festival di Locarno) ha 9 anni e con i suoi fratelli più grandi - in procinto di lasciare con la madre incinta e il suo nuovo compagno Parigi per il Canada -, si ritrova a trascorrere le vacanze invernali col padre, un regista italiano che non vede da un anno ma che spera ancora che un giorno possa rimettersi con mamma... Nell'ostinata ricerca di una normalità perduta, o addirittura negata, in quel scoprirsi più che speciali diversi, la Elkann gira un film molto borghese, ma garbato, onesto, tenero, spontaneo. Poi è vero: nonostante la regista diriga molto bene i tre giovani protagonisti (tutti esordienti come lei), sorretti e coadiuvati dai navigati Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, «Magari» resta un po' lì, sulla soglia dell'«anche i ricchi piangono», fatica a fare un salto in avanti, a liberarsi da codici narrativi abituali, comodi, Ma a forza di guardarsi indietro bisognerebbe essere bionici per non sentire la stretta e il lascito di quella maledetta malinconia.