Revenant: la primordiale lotta contro tutto nella neve sporca di odio
<Finché ti resta solo un respiro, combatti>.
E' un western (anzi no...) antropologico, primitivo e animalesco, girato a meno 27, quasi sempre in campo aperto, con luce naturale e macchina da presa large format (e una quantità industriale di lenti grandangolari), sterminato negli spazi ma grande anche per concezione, respiro, sguardo, il film con cui il messicano Alejandro Inarritu cerca di bissare il successo di <Birdman>: un film sull'uomo, che però è solo una piccolissima, a volte irrilevante, parte del tutto; anima errante, rabbiosa e ferita inghiottita da una natura maestosa e matrigna, dominante e ieratica, immensa e opprimente.
Una pellicola ostile, dove la neve si sporca di sangue, odio, dolore, vendetta, onore, sempre addosso con violenza, tra primi e primissimi piani, ai suoi protagonisti, quasi a volerli sopraffare, per poi invece liberare la vista in panoramiche e totali abbacinanti: selvaggio e sopravvivente, <Revenant>, livido nel gelo, stremato dalla fatica.
Candidato a 12 Oscar (dove si presenta con la patente di grande favorito - <Spotlight> permettendo -, facendo accarezzare a Inarritu il sogno di un clamoroso bis dopo il trionfo dello scorso anno), fresco vincitore di tre Golden Globes (compreso quello per il miglior film drammatico dell'anno), <Revenant-Redivivo>, storia vera messa nero su bianco da Michael Punke, il cui libro ha già ispirato <Uomo bianco, va' col tuo Dio!>, racconta di una spedizione lungo il fiume Missouri, nell'anno 1823, di alcuni cacciatori di pelli che abbandonano al suo destino il loro scout, Hugh Glass (Leonardo DiCaprio, all'inseguimento di una sospiratissima statuetta), dopo che è stato dilaniato da un'orsa. Ma il trapper ha un motivo per non mollare: ritrovare l'uomo che lo ha sepolto vivo dopo avere ucciso suo figlio...
Potente e crudo, non privo di squarci onirici e di un'epica malickiana in alcune contemplazioni (non a caso lo scenografo è lo stesso di <Tree of life>), <Revenant> riduce all'osso i dialoghi facendo parlare soprattutto le immagini e la fame di vita del suo protagonista, <eroe> moderno che sta dalla parte giusta del fucile, in equilibrio con se stesso e i suoi silenzi, ma a mal partito con le premesse deturpanti della <civilizzazione>. Forte nella regia (bellissimo il prologo con la cinepresa ad altezza terra), spesso spettacolare, il film però, complici alcune lungaggini, non è particolarmente appassionante e <fondo>, in particolare nella rappresentazione dei personaggi: e se nella primordiale lotta contro tutto trova una sua cifra, arriva però prima agli occhi che al cuore.