C’era una volta a…HOLLYWOOD: se la vita fosse un film
C’è una cosa straordinaria in quel genio che rispinde al nome di Quentin Tarantino: il fatto che, in fondo, sia un sentimentale. Uno che non solo ti reinventa da capo il cinema, ma fa lo stesso anche (ricordate la morte di Hitler in “Bastardi senza gloria?”) con la Storia, quella vera, quella brutta. E’ già tutto nel titolo: d’altra parte è noto - e uno come lui non può non saperlo - che il posto migliore per nascondere l’arma del delitto è là dove tutti possano vederla. Quel “C’era una volta” è una dichiarazione di intenti: perché là dove l’età dell’innocenza era finita davvero (e nel sangue), solo in un film - in una favola - può permettersi di durare in eterno. E allora se mistificazione deve essere, in fondo è a fin di bene: Tarantino non solo rimodella il cinema a sua somiglianza, creando finte sequenze di film mai davvero girati, andando ben oltre la semplice citazione per arrivare alla reinterpretazione di un ricordo, di una reminiscenza, di un sentimento; ma permette al cinema stesso di cambiare il corso degli eventi. Forse perché, complice l'assoluto, sincero, strabordante - e se vogliamo anche ingenuo – amore che il regista de <Le Iene> nutre per la settima arte, sa benissimo che sarà sempre più accogliente e sicura una sala cinematografica dove una ragazza giovane e bionda può allungare i piedi nudi sulla poltrona davanti di quel mondo, crudele e assurdo, là fuori.
<Niente spoiler>,raccomanda Quentin, ma mica è facile: perché bisognerà pur dire che il film più atteso dell’anno, ambientato in un coloratissimo e stilosissimo 1969, è l’affresco, nostalgico e irresistibile di un autore alla ricerca del tempo perduto: una seducente e rutilante giostra, imbottita di canzoni, dettagli e memorabilia, con cui l'autore di <Pulp fiction> risuscita anche i morti (cinema compreso) caricandosi sulle spalle la mitologia hollywoodiana, a costo di preferire al drone il vecchio dolly.
Bizzarro ed extra cool, <C'era una volta a... Hollywood> è la storia dell’amicizia tra un attore di western di serie B (Tarantino potrebbe essersi ispirato a Ken Clark, ma più probabilmente il suo protagonista è la summa di più personaggi) e il suo stunt-man, nel periodo in cui Charlie Manson e la sua <family> progettano di uccidere l’attrice Sharon Tate...
Un film divertente, pazzo, affettuoso dove più che l’intreccio - quasi invisibile - contano i personaggi, il contesto, lo stile, le star (sono della partita i calibri più grossi: Leo DiCaprio, Brad Pitt e una Margot Robbie mai così bella...), quell’empatia che si instaura con uno spettatore capace di perdonare al regista una certa autoindulgenza, il tono abitualmente compiaciuto di chi, oltre agli altri, cita volentieri anche se stesso. Ma <C'era una volta a ...Hollywood>, d’altra parte, non nasconde i difetti e, magnificamente irresponsabile, vive anche di splendidi eccessi: il carattere ultra divistico (quando Brad Pitt si toglie la maglietta viene giù la sala...), le sequenze stracult (fantastica quella in cui Brad viene sfidato da Bruce Lee, ma anche il dialogo tra DiCaprio e una bimba prodigio di 8 anni che usa il <metodo>), il feticismo, ne fanno un’ode all’epoca in cui sogni sembravano (forse a causa dell'Lsd?) più veri.
Nel suo delirio ultra cinefilo, Tarantino ci mette tutto: il western, Dean Martin, stacchi alla nouvelle vague, Al Pacino e Luke Perry, riposi in pace: a volte forse il film manca un po' di ottani, ma vale la pena attendere il finale, pirotecnico e irresistibile, da applausi a scena aperta. Il metacinema prende il sopravvento sulle frustrazioni personali, la macchina da presa riscrive ciò che è stato: la vita non è un film, ma sarebbe meglio che lo fosse.